L’esito (fallimentare) dell’Itu conference di Dubai

La situazione di stallo che si era determinata nella prima settimana della International Telecommunication Unit (Itu) di Dubai aveva preannunciato una difficile soluzione del meeting organizzato dalle Nazioni Unite per modificare gli accordi internazionali che regolano le telecomunicazioni, e quindi, in generale, il destino di internet. Alla fine della conferenza di Dubai, durata ben due settimane, tra il 3 ed il 14 dicembre, questo l’esito:

- l’Onu ha approvato un accordo con 77 voti a favore e 33 contro;

- dei Paesi invitati a partecipare, soltanto 89 Paesi – tra cui Cina, Russia, Brasile, Arabia Saudita – hanno sottoscritto il nuovo trattato;

- 55 Paesi hanno contestato il nuovo trattato. Tra questi figurano giganti come gli Usa, il Canada ed il Regno Unito, che lo hanno definito “censorio” delle libertà di internet, opera di governi non esattamente democratici, ed hanno abbandonato l’aula;

- altri Paesi, tra i quali l’Italia, sono rimasti in sostanziale stand-by, nell’attesa di decidere cosa fare.

Insomma, il meeting tanto atteso è stato un sostanziale “flop”.

E, soprattutto, il testo del nuovo trattato, da molti giudicato lesivo delle libertà della rete, nonostante le rassicurazioni del Segretario Generale dell’Itu, Hamadoun Touré, può esser soggetto a varie interpretazioni, il che determinerà una differente applicazione nei diversi contesti in cui verrà ratificato.

Alcuni analisti hanno ragione di ritenere che la “battaglia di internet” sia divenuta un “affaire” geopolitico all’interno di una nuova “guerra fredda”. Stavolta dunque la cortina di ghiaccio si andrà ad erigere tra i Paesi firmatari e coloro che invece non hanno firmato. Il nuovo trattato, in generale, affida un maggiore potere ai singoli Governi in materia di internet. E questo spaventa Paesi come gli Stati Uniti, che intendono battersi per mantenere l’attuale equilibrio “multistakeholder”. Allineato alle posizioni statunitensi, naturalmente, il gigante della rete, Google, i cui rappresentanti hanno dichiarato “Ciò che risulta chiaro è che molti Paesi vogliono aumentare la regolamentazione su Internet e censurare la Rete. Google sta dalla parte dei Paesi che rifiutano di siglare il trattato, e dei milioni di voci a favore di un open e libero web”. E finanche  Robert McDowell, Commissario della Federal Communications Commission, si è schierato sul medesimo versante, sostenendo che “solo una rete isolata dalle regolamentazioni governative non mina gravemente il successo del modello multistakeholder della governance di internet“. Se, da una parte, è evidente che gli Usa cercano di proteggere i propri interessi, dall’altra parte appare altrettanto evidente che non ci sarà un nuovo trattato condiviso per la regolamentazione delle tlc e di internet. Il trattato, in ogni caso, entrerà in vigore solo nel 2015, e quindi nel prossimo biennio potrebbero cambiare ancora molte cose, anche in considerazione del fatto che il nuovo meeting Itu si terrà nel 2014 nella Corea del Sud.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 2 gennaio 2013

One thought on “L’esito (fallimentare) dell’Itu conference di Dubai

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