Seminario Isimm per parlare di diritto d’autore online

Il diritto d’autore online si conferma uno dei temi del momento. Lo scorso 18 febbraio a Roma, il seminario Isimm – Istituto per lo Studio dell’Innovazione e della Multimedialità – dal titolo “Il Regolamento Agcom sulla tutela del diritto d’autore nelle reti di comunicazione elettronica”, organizzato per la presentazione del libro di Eugenio Prosperetti “L’opera digitale tra regole e mercato” ha rappresentato l’occasione giusta per tornare sul tema.

La giornata di lavori, sostanzialmente suddivisa in due parti, ha riscontrato una grande partecipazione di pubblico. Durante la mattinata si è assistito ad un confronto più tecnico tra specialisti del diritto sul Regolamento approvato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni lo scorso dicembre, riguardo soprattutto al tema della legittimità o meno di Agcom ad intervenire. Il tema della legittimità rappresenta infatti uno dei punti cruciali della contestazione, tanto che la questione è stata portata all’attenzione del Tar.

Introdotti da Vincenzo Zeno Zencovich, Presidente di Isimm, si sono confrontati Gustavo Olivieri, dell’Università Luiss Guido Carli, Alberto Gambino, dell’Università Europea di Roma, Francesco Cardarelli, Università di Roma Foro Italico. Al termine della mattinata sono intervenuti il Commissario Agcom Francesco Posteraro (relatore del Regolamento insieme ad Antonio Martusciello) ed Eugenio Prosperetti.

La parte pomeridiana della kermesse – certamente più fruibile anche ai non esperti di diritto – è stata aperta dal Commissario fresco di nomina Antonio Nicita e moderata dal giornalista del gruppo “Il Sole 24 Ore” Luca De Biase. La tavola rotonda “L’opera digitale, le imprese ed il mercato” è stata un’occasione di confronto per registrare il parere dei vari player che si muovono sul mercato – broadcaster, Ott, società di telecomunicazioni – rispetto al regolamento che entrerà in vigore il prossimo 31 marzo.

Antonio Nicita, nella relazione introduttiva ha posto l’attenzione sul fatto che il copyright online costituisca un tema strategico sia dal punto di vista economico, sia per quanto riguarda lo sviluppo dei nuovi mercati. Da una parte c’è quindi da interrogarsi sulla validità o meno di un modello che poggia su medesimi strumenti di tutela per il mondo online ed offline. Su questo punto Nicita è convinto che non si possano semplicemente “travasare” tutele pensate per il mondo reale in quello online, pena una evidente inadeguatezza, anche in considerazione del fatto che gli usi che si fanno di un’opera online sono ben differenti da quanto avviene per un’opera del mondo offline. Va poi tenuto conto che un’opera digitale, nata online è diversa da un’opera digitalizzata. Da qui nasce quindi il problema degli usi e dei mercati di riferimento cui l’opera si rivolge.

Altra questione che ulteriormente complica lo scenario è relativa agli utilizzi di singole parti di un’opera, problema sollevato anche dall’Antitrust europeo. Nel caso in cui la pirateria consenta la creazione di un nuovo mercato potenziale, allora la tutela della concorrenza deve prevalere sulla tutela del copyright, come peraltro ha stabilito la Commissione Europea.

Giorgia Abeltino di Google ha dapprima citato la sentenza recente della Corte di Giustizia Ue con la quale è stato di fatto sdoganato il linking di Google News, per poi ricordare gli importanti investimenti messi in atto da Google e YouTube (YouTube ha investito 60milioni di dollari per il “Content ID”) per favorire l’autoregolamentazione. Ha infine richiamato l’importanza dell’educazione degli utenti, punto nodale per il raggiungimento di obiettivi concreti.

Giuseppe Cerbone dell’Ansa molto concretamente ha sostenuto che gli effetti del Regolamento si potranno analizzare solo dopo la sua concreta entrata in vigore. Ha auspicato soltanto che non si assista ad una situazione di costante contenzioso, considerando anche che questi meccanismi di controllo delle violazioni rappresentano un costo per le aziende.

Maria Luisa Cesaro, Vodafone, ha affermato che la tutela del diritto d’autore online debba puntare ad un ecosistema vantaggioso per tutti, considerati i numerosi interessi in gioco. Ritiene che misure troppo restrittive non portino nel lungo periodo a risultati efficienti. Per quanto riguarda il finanziamento dell’attuazione del regolamento ha richiamato la decisione di Ofcom per cui il titolare del diritto debba partecipare alla copertura dei costi di accertamento dell’illecito.
Enzo Mazza, Fimi, ha portato all’attenzione il mondo della musica laddove l’evoluzione del mercato e delle tecnologie ha portato ad un totale stravolgimento. Dopo una fase di profonda crisi finalmente però si vedono i segnali di un’inversione di tendenza e di una nuova crescita sulla base di business model differenti. In Italia, per la prima volta dopo 10 anni, nel 2013 il settore musicale ha registrato una crescita del 2% di fatturato. Mazza ha peraltro ricordato che oltre l’85% dei video musicali presenti su YouTube sono monetizzati dalle case discografiche. I nuovi modelli di business hanno quindi risollevato il settore musicale dalla crisi. Infine, dopo anni in cui la pirateria ha rappresentato una piaga enorme, anche grazie ad un’offerta legale sempre più vasta, il fenomeno è in calo.

Gina Nieri, Mediaset, ha definito senza alcuna esitazione il Regolamento Agcom un “passo concreto e coraggioso”. È giusto, ha riconosciuto, non colpire il singolo ma le organizzazioni che fanno della pirateria il loro business. È altrettanto importante però puntare sulla leva educativa. Nieri ha quindi spostato l’asse del suo discorso sul tema dei diritti in quanto tali dentro e fuori dalla rete, e pertanto inalienabili e non negoziabili. Quello che ritiene inaccettabile sono le asimmetrie normative esistenti tra Tv e web. Ha mostrato apertura verso nuovi modelli di business, pur ribadendo che tutto deve avvenire in un ambiente regolamentato. È quindi necessario ed urgente che si addivenga ad un level playing field. Infine – ha aggiunto in chiusura – Mediaset offre gratuitamente moltissimi contenuti su diverse piattaforme ma ne rivendica i ricavi pubblicitari, fondamentali per l’azienda di Cologno per poter reinvestire risorse in nuovi contenuti, nuovo prodotto originale.

Paolo Nuti di AIIP ha concordato con Nieri sulla non negoziabilità dei diritti fondamentali, dissentendo però su altre questioni, di natura eminentemente attuativa, del Regolamento. Si è ad esempio dichiarato contrario al blocco dei siti. “Bisogna educare l’utente e non bloccare i siti. Sarebbe utile introdurre nelle scuole qualche ora di educazione civica digitale”. La questione dirimente, secondo Nuti, è proprio la responsabilità dell’utente.

Positivo il Regolamento per Luigi Menichilli di Wind. Il rischio latente però è che porti ad una valanga ingestibile di ricorsi. Marco Valentini di Sky Italia, al di là di un complessivo plauso per il Regolamento, crede che lo stesso sia migliorabile nei tempi. Ritiene che 12 giorni siano un periodo troppo lungo e che, come nel caso delle partite di calcio, l’intervento dovrebbe essere tempestivo. Valentini ha infine ricordato i danni spaventosi causati dalla pirateria: 22mila posti di lavoro in meno in 3 anni, perdite per circa 500 milioni di euro l’anno.

In chiusura è intervenuto l’avvocato Fulvio Sarzana, notoriamente contrario al Regolamento. È dapprima tornato sulla polemica rispetto alla legittimità di Agcom ad intervenire, quindi si è interrogato su questioni di natura più pratica, rispetto ai “costi della manovra”. È stata fatta una analisi economica di impatto, si è domandato? Cosa si intende per “massività”? L’Autorità dovrà comunque intervenire di fronte ad una denuncia ed il rischio è che si trovi sommersa da un numero ingestibile di ricorsi.

Non resta dunque che attendere la prova dei fatti.

(a cura della Redazione di Italia Audiovisiva – E.) 

Confalonieri: “se ci scappa un capezzolo…”. Lo squilibrio tra “controlli” del sistema televisivo ed “anarchia” del web.

Convegno promosso da Confindustria Tv sul nuovo regolamento Agcom sul diritto d’autore online. Rai e Mediaset alleate nella lotta alla pirateria. Cologno investe 2 miliardi di euro l’anno per i propri palinsesti. 1 italiano su 3 fruirebbe di contenuti illegali

Si è tenuto mercoledì 29 dicembre, presso la sala cinema dell’Anica (Associazione Nazionale Produttori Cinematografici Audiovisivi e Multimediali), particolarmente gremita, il convegno organizzato da Confindustria Radio Televisione, dal titolo “Copyright online. Nuove regole per nuovi scenari digitali”. Si tratta della prima pubblica sortita della novella anima di Confindustria, che ha assorbito tra l’altro la storica Frt e vanta l’inedita adesione anche della Rai. Confindustria Tv si affianca a Confindustria Cultura ed a Confindustria Digitale, e va subito segnalato che le tesi delle tre consorelle non appaiono sempre proprio allineate…

La mattinata è stata introdotta e moderata dal giornalista Emilio Carelli (che è anche Vice Presidente di Confindustria Tv ed appare quasi suo portavoce), dedicata alle tematiche del diritto d’autore online, a poco più di un mese e mezzo dall’approvazione del “tanto sospirato” regolamento Agcom (per un approfondimento, vedi su queste stesse colonne il “Dossier IsICult. Regolamento Agcom sul diritto d’autore online: normale e finanche banale, oppure rivoluzionario ed epocale?!”).

Rodolfo De Laurentiis, Presidente della novella associazione infra-confindustriale (nonché ex parlamentare Udc ed attualmente anche consigliere di amministrazione Rai), ha voluto organizzare questo incontro perché Confindustria Radio Tv, che pure rappresenta il 98 % del mercato audiovisivo nazionale (temiamo che questa stima non sia condivisa da AerAnti-Corallo…), non ha avuto occasione di partecipare alla fase di consultazione, per evidenti questioni “anagrafiche” (è operativa da ottobre 2013). Questi alcuni dati: 9 miliardi di euro sono prodotti ogni anno dagli associati, circa 30mila i dipendenti diretti, un’industria con 198 canali monitorati quotidianamente da Auditel, 16 editori…

I broadcaster – ha proseguito – nell’ultimo quadriennio, nonostante la morsa della crisi, hanno investito circa 2 miliardi nella produzione di contenuti: “Il regolamento Agcom è stato da noi accolto con particolare favore, perché cerca di arginare un fenomeno sempre più pervasivo, con dati che confermano tutta la sua virulenza. Nel nostro Paese, la pirateria è al 48 %, rispetto al 33 % in Europa, 45 % nel mondo”. In sostanza,  1 italiano su 3 fruirebbe di contenuti audiovisivi non originali. “Non è stato fatto abbastanza per eliminare i link pirata dalle indicizzazioni”. I danni da download illegale ammonterebbero a “circa 3 miliardi di euro: 1,5 miliardi per l’audiovisivo, 1,4 miliardi per il software… Se non si riuscirà ad arginare il fenomeno,  il settore, nei prossimi 3 anni, rischia la perdita di 20mila posti di lavoro”. Il 37 % degli utenti di smartphone farebbe streming illegale di film, serie tv, musica. Addirittura un 75 % degli utenti, condividerebbe “peer to peer”. Purtroppo, non è stata precisata la fonte di questi dati, ma siamo ormai abituati – in Italia – ad un uso discretamente spregiudicato (e partigiano) dei numeri. De Laurentiis crede che l’azione di Agcom per limitare la pirateria e tutelare il diritto degli autori – anche attraverso azioni di sensibilizzazione e promozione dell’offerta legale – siano fondamentali, per tutelare il patrimonio artistico del nostro Paese e la concorrenza. La richiesta avanzata da Confindustria Radio Televisione è quella di un “level playing field” e quindi “pari opportunità” per tutti i soggetti (tv, ott…).

È seguito un video di Kerstin Jorna (già intervenuta personalmente nel workshop promosso dall’Agcom a fine maggio 2013), Director Intellectual Property all’interno della Dg Mercato Interno e Servizi della Commissione Europea, che ha illustrato gli obiettivi comunitari in materia di diritto d’autore, e le strategie volte al loro perseguimento. Jorna ha paragonato l’industria creativa ad un albero: internet offre grandi opportunità, ma l’ecosistema sopravvive soltanto se ha radici sane, il che implica che l’acqua (ovvero le risorse) possa tornare alle radici (proventi generati anche online attraverso advertising). Proteggere il diritto d’autore appare quindi l’unico modo per tenere in vita l’albero. Quest’anno – ha proseguito Jorna – la Commissione ha avviato il progetto “Licenze per l’Europa”, anche al fine di verificare la portabilità degli abbonamenti. La Commissione – ha concluso – si sta impegnando molto per questo settore, che garantisce crescita e occupazione.

La prima parte della mattinata ha visto quindi sul tavolo di presidenza Angelo Marcello Cardani, Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) e Giovanni Pitruzzella, Presidente dell’Autorità per la Concorrenza ed il Mercato (Agcm).

Cardani si è innanzitutto domandato perché il regolamento avesse scatenato reazioni tanto forti da produrre polemiche e… quasi una “ferocia persecutrice” nei suoi confronti. Il cammino per il raggiungimento del testo definitivo è stato molto lungo, anche perché si è tentato di tener conto delle implicazioni pratiche e giuridiche che avrebbe prodotto. Sono emersi quindi alcuni elementi imprescindibili: necessità di un’educazione alla legalità, promozione di un’offerta legale a condizioni economiche accettabili; ragionevolezza, garanzie procedimentali e proporzionalità nel regime di regolamentazione. Infine, è stato stabilito che gli interventi fossero solo su segnalazione, non di ufficio, e comunque mai verso gli utenti (fatta salva l’ipotesi che siano attivi, cioè “uploader” di contenuti pirata). Obiettivo primario infatti è quello di ristabilire un piano di legalità in tempi rapidi, senza comunque escludere un intervento giurisdizionale. Infine, quanto alla polemica sulle competenze, Cardani ha sostenuto che “il Parlamento non ha bisogno che l’Agcom si faccia da parte, può intervenire in qualsiasi momento per la regolazione del diritto d’autore online. L’adozione da parte dell’Autorità del regolamento sul diritto d’autore non compromette la possibilità del Parlamento di svolgere un’azione legislativa di cui ha il monopolio”. Senza riferirsi esplicitamente ai grillini, Cardani ha precisato ironicamente, dichiarando di volersi “togliere alcuni sassolini di cui ho piene le scarpe”: “Varando il regolamento sul copyright, non abbiamo compromesso la possibilità del Parlamento di svolgere la sua azione legislativa: la giovane età di alcuni parlamentari che ci hanno mosso critiche forse li esime da conoscenze costituzionali, ma mi aspettavo di più”. Cardani ha annunciato la realizzazione di uno spot di sensibilizzazione sociale rispetto al problema della pirateria.

Pitruzzella ha rimarcato che i “diritti” (i diritti sul “content”), tutti, costano, e che se, culturalmente, non viene ristabilito questo principio fondamentale, sarà difficile ottenere risultati concreti. Quanto alla regolamentazione su internet – ha rimarcato – bisogna stare molto attenti. Da una parte, vanno tutelati diritti degli autori e dei creatori; dall’altra, bisogna stare in guardia rispetto a meccanismi troppo rigidi, che pregiudichino la libertà della rete intesa come forum di libera espressione e circolazione di idee. Pitruzzella ha quindi espresso preoccupazione per quanto riguarda il Comitato Tecnico che comprende tutti gli “stakeholder”, e che potrebbe dare vita ad offerte troppo rigide, che non tutelano la concorrenza. Pitruzzella ha voluto mettere in guardia dai possibili accordi che dovessero intervenire tra operatori all’interno del Comitato, da valutare in termini di tutela della concorrenza (ha precisato: “il Comitato non è che non ci piaccia, ma il rischio è che gli accordi al suo interno possano essere fatti in modo tale da non tutelare la concorrenza tra le imprese”).

È stato quindi il momento dei broadcaster. Prima ad intervenire, Anna Maria Tarantola, Presidente Rai, che si è dichiarata favorevole al regolamento. Ritiene che la rete sia molto importante per la veicolazione di idee ed informazione, ma sottolinea che queste ultime sul web spesso non sono verificate, e che inoltre internet è pieno di contenuti diffusi illegalmente. Apprezza lo sforzo di Agcom nel voler reprimere gli illeciti con tempistica finalmente rapida, e sottolinea l’importanza della campagna educativa che non deve essere episodica, ma stabile. Ha quindi espresso alcune preoccupazioni rispetto al regolamento: l’Agcom potrebbe addirittura intervenire anche contro i “fornitori di servizi media audiovisivi” (come la Rai), e questa eventualità appare curiosa, dato che la tv pubblica, come altri broadcaster, o produce contenuti in-house o li acquista da terzi, pagandone i diritti. Tarantola ha inoltre concluso ribadendo l’importanza del regolamento, ma solo come primo step in prospettiva di un quadro organico più ampio di certezze a livello europeo.

Fedele Confalonieri, Presidente Mediaset, ha ribadito che si deve “pagare per i diritti”. Il Biscione spende 2 miliardi l’anno per il proprio palinsesto (questo dato sembra cozzare con quanto dichiarato da De Laurentiis, vedi supra), dovendo peraltro rispettare infinite norme: quote europee per il cinema e quote nazionali, fasce protette, eccetera… Scherzosamente, ha aggiunto: “se ci scappa un capezzolo in fascia protetta, succede il finimondo, mentre su internet gli over the top non hanno limitazioni, e non pagano una lira. In assenza di una reale tutela del diritto d’autore su internet, noi rischiamo di chiudere”. Francamente, non ci sembra che Agcom si mostri particolarmente feroce nei confronti degli obblighi di Mediaset (o di Rai e La7 ed altri), ma senza dubbio esiste una sperequazione tra “controllo” della tv ed “anarchia” del web. A margine del convegno, Confalonieri ha precisato che, “a fronte degli oltre 2 miliardi di euro l’anno investiti per l’intero palinsesto, ben 1,2 miliardi di euro vengono allocati alle autoproduzioni italiane ed europee”. Budget impressionanti, ed è naturale e giusto che, chi investe, rivendichi il diritto a non veder piratati i propri contenuti, e vanificati i propri investimenti. “Ci vuole una legge e la diffusione di una cultura specie tra i giovani”, tale da far capire che scaricare gratis un film o musica è illegale. Secondo il n° 1 di Mediaset, gli “over the top” sarebbero dei “signori che fanno miliardi di utili, non pagano una lira” di tasse “qui, impiegano pochissime persone, parliamo di decine”. Viceversa, “noi spendiamo per il nostro palinsesto, e abbiamo norme su quote di cinema, su quote europee, sulla tutela dei minori”. Ha insistito: “noi broadcaster abbiamo un’ira di Dio di regole, e dall’altra parte niente”. Sul “niente”, concordiamo. Sull’“ira di Dio” (?!), nutriamo dubbi. Confalonieri si riferisce forse al recente mite invito “repressivo” del redivivo Comitato Media e Minori, presieduto da Maurizio Mensi, rispetto alle sortite “porno” della D’Urso nelle sue chiacchierate della domenica pomeriggio?! “Io rimpiango… la pirateria dei guappi napoletani” – ha continuato Confalonieri – “il concetto di ‘settimo non rubare’ facciamolo diventare una regola anche per internet”.

Per Sky Italia, in assenza di Zappia, trattenuto a Milano, è stato Eric Gerritsen, Executive Vp Communications and Public Affairs ad intervenire. Ha evidenziato come il mercato televisivo, anche a causa di internet, stia attraversando una fase di trasformazione radicale. In questo scenario, Sky investe in diritti il 50 % del proprio fatturato (anche in questo caso, chi può validare queste stime?! l’Agcom non interviene in materia), ed è quindi importante ribadire che i diritti vanno pagati, e non c’è spazio per “free rider”. Gerritsen ha quindi concluso: “Bisogna inoltre guardare al mercato unico, anche perché con l’arrivo di internet lo spettatore può scegliere dove, come e cosa guardare”.

Maurizio Giunco, a nome della Frt “associazione italiana delle tv e radio locali” (infatti Frt “nazionale” è confluita in Confindustria Tv) ha lamentato le enormi “limitazioni” che imbrigliano il sistema televisivo, in nome del pluralismo, dei minori, della difesa del pudore, delle fasce più deboli… per poi domandarsi – un po’ curiosamente, sia consentito osservare – se sia giusto imbrigliare anche internet, o se non sia meglio togliere le catene alla tv. Suvvia, le… “catene” di cui parla Giunco ci appaiono veramente eccessiva formula retorica!

Marco Ghigliani, Amministratore Delegato di La7, ha espresso il proprio sostegno al regolamento. Ha condiviso le preoccupazioni esternate da Tarantola, sottolineando la necessità che, a livello culturale, prenda piede il principio per cui un investimento va remunerato. Principio ancor più valido in questa fase, nella quale i broadcaster sono divenuti operatori multimediali a tutto tondo.

Andrea Castellari, Direttore di Discovery Italia, ha sostenuto che il loro business è ancora al 99 % basato su ricavi da tv lineare. Discovery ha provato a ragionare su business non lineari, ma ad oggi è ancora molto complicato e rischioso. Ritiene fondamentale rendere disponibili contenuti legali a prezzi che la gente sia disposta a pagare. Crede l’Agcom stia facendo un lavoro straordinario, che è però importante proseguire a livello europeo e mondiale.

In chiusura, sono intervenuti Domenico Luca Scordino, Consigliere di Gestione Siae (già Sub Commissario della stessa), in rappresentanza del Presidente Gino Paoli, e Riccardo Tozzi, Presidente Anica. Il primo ha sostenuto l’importanza del lavoro di Agcom, ampiamente sostenuto da Siae, ed ha manifestato preoccupazione per il fenomeno della disintermediazione, che è stato accelerato dall’economia di internet, e che in verità non libera gli autori dal monopolio della collecting italiana, ma ne indebolisce soltanto il potere contrattuale. Riccardo Tozzi si è soffermato invece sull’alone diffuso e manipolatorio che fa travisare la realtà, ben messo in campo dalle lobby delle “ott”, aiutate in questo da un’area culturale e politica di “fiancheggiamento”, che si scaglia a priori per la rete libera. Quella adottata da Agcom è semplicemente una misura di equità e garanzia. Per quanto riguarda eventuali interventi di riforma della disciplina sul diritto d’autore, Tozzi ritiene che non ci sia proprio nulla da cambiare. L’anomalia italiana, ha concluso, risiede in un mercato televisivo essenzialmente malato, in cui nessuno dei 3 player più importanti sulla scena riesce ad essere in utile: “siamo l’unico Paese che ha 7 reti generaliste e questo fa si che la redditività sia molto ridotta”.

Antonio Catricalà, Vice Ministro dello Sviluppo Economico, in chiusura ha toccato molti temi scottanti: dall’asta delle frequenze alla numerazione Lcn, al rinnovo del contratto con la Rai del 2016… per quanto riguarda la specifica tematica, ha espresso soddisfazione “perché è il segno che qualcosa si sta facendo, che comunque si potrà sempre migliorare. Tutelare il diritto d’autore è importante, perché chi produce contenuti per sé e per la società possa continuare a farlo”.

Totalmente assenti, ma era prevedibile, voci dissidenti, ma forse attendersi da Confindustria Tv che inviti al dibattito gli estremisti libertari come Scorza, Sarzana e Pierani sarebbe veramente pretendere troppo. Si attendono le loro reazioni.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – Elena D’Alessandri ) – 30 gennaio 2014

 

Regolamento Agcom sul diritto d’autore online: normale e finanche banale, oppure rivoluzionario ed epocale?!

Il regolamento della discordia entra in vigore il 31 marzo 2014: considerazioni a freddo, ad un mese e mezzo dall’approvazione, mentre la Commissione Europea ancora s’interroga…

 

Il 12 dicembre 2013, dopo lunga e travagliata attesa, il consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazionipresieduta da Angelo Marcello Cardani ha approvato all’unanimità (in realtà non ha partecipato alla votazione il nuovo Commissario Antonio Nicita, “in quota” Pd, che ha preso il posto del dimissionario Maurizio Décina) il regolamento in materia di diritto d’autore online. Tecnicamente, si tratta della “Delibera n. 680/13/Cons”. Relatori i Commissari Francesco Posteraro (secondo alcuni osservatori, in quota “Udc”) e Antonio Martusciello (secondo alcuni, in quota “Forza Italia”).

Il procedimento è stato approvato solo dopo un lungo periodo di consultazione con i soggetti interessati ed una controversa interlocuzione con la Commissione Europea. Ottenuto il via libera da parte di quest’ultima, entrerà in vigore a partire dal 31 marzo 2014. Una prima bozza ovvero uno “schema di regolamento” era stato approvato il 25 luglio 2013, ottenendo il via libera definitivo, anche seguito di una rinnovata consultazione, lo scorso dicembre appunto, con l’approvazione del regolamento.

Piace qui ricordare che la polemica italiana intorno alla protezione del diritto d’autore online ha radici ben lontane.

Già nel 2010, quando l’Autorità era presieduta da Corrado Calabrò, l’Agcom aveva presentato una bozza di regolamento, modificato nel luglio 2011 a seguito della prima consultazione pubblica. Conclusa anche una seconda consultazione, nel marzo 2012 il Presidente Calabrò, ormai prossimo al termine del mandato, aveva dichiarato, in audizione parlamentare, l’intenzione di rimandare l’adozione del regolamento. Testualmente: in attesa che “veda la luce” una norma di legge della Presidenza del Consiglio che “ribadisce la legittimazione di Agcom e ne definisce meglio la competenza ed i poteri dell’autorità nella materia del diritto d’autore”.

Che la rinnovata Agcom avesse invece effettivamente deciso di intervenire, dopo lunghissima attesa ed in perdurante assenza di nuove normative, era emerso in modo inequivocabile anche in occasione dello stimolante workshop del 24 maggio 2013, “Il diritto d’autore online: modelli a confronti”, tenutosi in pompa magna presso la Camera dei Deputati.

In base alla novella normativa, l’Agcom non agirà d’ufficio, ma sarà il titolare di diritti che ritiene la propria opera diffusa illegalmente a doversi rivolgere con una istanza all’Autorità, che metterà in moto uno specifico iter procedurale. I tempi stabiliti sono particolarmente celeri: 35 giorni per un normale iter, 12 giorni in caso di violazioni “massive” (concetto che pure presenta qualche margine di difficoltà interpretatativa). Entro 7 giorni dalla segnalazione, l’Autorità si impegna a valutare l’istanza, e quindi stabilisce se archiviare o procedere. In quest’ultimo caso, accertato l’illecito, darà 5 giorni di tempo ai “provider” che ospitano i contenuti di presentare obiezioni difensive. Se queste non saranno ritenute convincenti, nei successivi 3 giorni il provider dovrà procedere alla rimozione del contenuto incriminato. Le sanzioni saranno progressive: vanno dalla “rimozione selettiva” del contenuto fino alla “chiusura dell’accesso” al sito, qualora si tratti di forme massive di violazione. Nel caso il provider – ma anche l’uploader e i gestori della pagina e del sito internet possono far concludere la procedura – invitato a rimuovere il contenuto non rispettasse il “diktat” di Agcom, è prevista l’applicazione di una sanzione pecuniaria fino a 250mila euro. Una volta conclusasi la procedura, il proprietario dello spazio considerato colpevole ha come unica chance di reazione il ricorso al Tar.

In altri termini, l’Autorità può ordinare la rimozione selettiva delle opere digitali che violano il copyright o, nel caso di violazioni massicce, di disabilitare l’accesso alle suddette (o al sito, nel caso di server ubicato fuori dal territorio nazionale) o di reindirizzare automaticamente verso una pagina Internet redatta secondo le modalità indicate dall’Autorità.

Ad affiancare il meccanismo per così dire “repressivo”, l’Autorità ha istituito un Comitato Tecnico, presieduto dal Segretario Generale dell’Autorità, Francesco Sclafani (in carica da marzo 2013), e composto dai rappresentanti di “tutti” gli stakeholder, che avrà il compito di favorire la promozione dell’offerta legale. La composizione del Comitato Tecnico appare a rischio di deriva pletorica: si tratta di ben 16 componenti, ovvero un rappresentante delle principali associazioni di settore: consumatori, autori, artisti, interpreti, editori, produttori, distributori, fornitori di servizi di media, prestatori di servizi della società dell’informazione… per ben 8 membri. Cui si aggiungono altri 7 rappresentanti: un rappresentante ognuno per la Siae, per il Comitato Permanente per il Diritto d’Autore presso il Mibact, per il Comitato Tecnico Contro la Pirateria presso il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Comitato per l’Applicazione del Codice di Autoregolamentazione “Media e Minori” istituito presso il Dipartimento Comunicazioni del Mise, Polizia Postale, Nucleo Speciale per la Radiodiffusione e l’Editoria della Guardia di Finanza, Sezioni specializzate in materia di Proprietà industriale ed intellettuale… si arriva quindi a 15 membri, anzi 16 (col Segretario Generale Agcom): preoccupa l’indefinita quantificazione dei componenti funzionari dell’Agcom (il regolamento, all’art. 4, comma 1, lettera c., recita un discrezionale… “rappresentanti dell’Autorità”). Curioso – ed in verità intollerabile in un Paese evoluto – quanto previsto per quanto riguarda “il raggiungimento di intese” tra gli “stakeholder” cui supra: l’adozione di codici di condotta, di accordi di licenza, di finestre di distribuzione (ovvero degli strumenti che possano promuovere una semplificazione della filiera dell’audiovisivo online) potrà avvenire “anche avvalendosi della collaborazione a titolo gratuito di centri di ricerca”. A titolo gratuito?! Comprendiamo le esigenze di “spending review”, ma sia consentito osservare che questo vincolo di gratuità non stimola certo la qualità degli apporti dei ricercatori coinvolti: perché mai professionisti qualificati dovrebbero lavorare gratis per l’Agcom?!

Va segnalato che gli effetti di contrasto degli illeciti non vengono giustamente ritenuti dall’Agcom sufficienti di per sé a incentivare una cultura della legalità, questione ben più complessa verso la quale varrebbe forse la pena richiamare in campo un problema “educativo” di base.

Va ricordato che in Italia si soffre di un ritardo nell’adeguamento dei modelli di business: basti ricordare che Anica annuncia da oltre un anno una propria autonoma piattaforma online, che tarda però a vedere luce. Si ricordi anche che è entrato nel business dell’offerta “pay” via web di contenuti audiovisivi legali un innovativo servizio “streaming” promosso da Mediaset, Infinity (servizio “pay on demand” in streaming visibile su smart tv, tablet, pc, console, ecc.), che sembra essere stato lanciato anche per presidiare il territorio italiano dalla prospettata entrata nel nostro mercato di un “player” come Netflix.

Come molte volte è stato ribadito dal Presidente Cardani e dai suoi Commissari, in sostanza, il nuovo regolamento Agcom non intende colpire l’utente finale, né limitare la sua libertà in rete sulla base di un meccanismo di monitoraggio (o “spionaggio” che sia, secondo i detrattori) che ricorda il modello francese dell’Hadopi, ma mira anzitutto a contrastare forme massive di pirateria.

Nessuna reale o comunque significativa interferenza quindi, nel bene e nel male, per tutti coloro (i cosiddetti “scariconi”) che praticano “peer-to-peer” e “downloading” sostanzialmente illegale. Il regolamento Agcom non li disturberà, nelle loro… basse pratiche: non direttamente almeno. In sostanza, il regolamento Agcom intende punire la grande pirateria e tutelare l’industria culturale, senza colpire brutalmente gli utilizzatori finali, i “downloader” filo-pirata… In estrema sintesi, Agcom intende colpire l’“uploader”, non il “downloader”.

Il regolamento prevede due procedimenti sanzionatori: ordinario e abbreviato. Quest’ultimo s’avvia automaticamente qualora la segnalazione arrivi da una delle associazioni che detengono i diritti, oppure quando i fatti configurino un’ipotesi di grave lesione dei diritti di sfruttamento economico dell’opera digitale, o nell’ipotesi di violazione di carattere massiccio.

Da segnalare anche che il procedimento amministrativo definito dal Regolamento Agcom è alternativo ma non sostitutivo di quello giudiziario: è prevista l’archiviazione degli atti, se il titolare dei diritti si rivolge all’autorità giudiziaria.

Il 25 gennaio 2014, un dispaccio dell’Adnkronos informava che l’Agcom si sta preparando alla gestione della grande mole di istanze che perverranno, soprattutto nei primi giorni di vigenza del Regolamento. Non risulta sia stata elaborata una stima predittiva della quantità di segnalazioni che perverranno all’Autorità dai primi di aprile… Per trovarsi pronta a questa nuova sfida, oltre ad riorganizzare i propri uffici, l’Agcom sta attivando collaborazioni anzitutto con la Siae (la Società Italiana Autori Editori), con la Guardia di Finanza (si ricorda che esiste un Nucleo Speciale operante presso la stessa Agcom) e con la Fondazione “Ugo Bordoni” (nata nel 1952 in seno al Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni è attualmente una “istituzione di alta cultura e ricerca soggetta alla vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico”; si ricordi che il Comitato di Fondatori è formato da Poste Italiane, Telecom Italia, Vodafone, Wind, H3g, Ericsson).

Il regolamento, ancor prima della sua approvazione, ha di fatto ri-spaccato in due l’opinione pubblica italiana.

Nei giorni e nelle ore antecedenti l’annunciata approvazione, si è assistito ad un fuoco di artificio di dichiarazioni da “dietro le quinte”, di cui non hanno scritto molto né quotidiani né periodici, ma di cui resta ampia prova nelle decine di dispacci di agenzie di stampa. La Presidente della Camera Laura Boldrini aveva auspicato, e quindi ritenuto preferibile, un intervento normativo, su un tema “così delicato”. Il Ministro agli Affari Esteri Emma Bonino ha sostenuto che “non spetta all’Agcom predisporre sanzioni in materia di proprietà intellettuale”…

Ci limitiamo a segnalare l’evidente contraddizione del Pd, ovvero la “contraddizione interna” al Partito Democratico. Il 5 dicembre 2013, Felice Casson (Vice Presidente della Commissione Giustizia del Senato e primo firmatario di un ddl in materia, sottoscritto da altri 9 senatori del Pd), aveva chiesto all’Agcom “la sospensione dell’iter”… L’11 dicembre, Lorenza Bonaccorsi, parlamentare del Pd, annunciava che avrebbe chiesto alla Presidente Boldrini “chiarimenti sul blitz” in gestazione. L’onorevole Gianluca Benamati, anche lui del Pd, esprimeva invece “apprezzamento per la prossima emissione del regolamento”… La piddina Valeria Fedeli, Vice Presidente del Senato, aveva auspicato l’approvazione del regolamento… Il giorno prima dell’approvazione del regolamento, dopo le variegate dichiarazioni dei colleghi di partito, il Presidente della Commissione Cultura al Senato, Andrea Marcucci, cercava una posizione di mediazione tra le varie anime, e dichiarava (citando Casson) con modalità cerchiobottiste: “il regolamento Agcom è utile, ma serve una legge”…

Un qualche commento “ex post”, a cose fatte, ovvero regolamento – nel bene e nel male – approvato.

Da una parte, forte è stata l’attesa, e grande quindi l’esultazione ed il plauso, da parte delle principali industrie di contenuti del Paese: Siae, Fieg, Anica…

Riccardo Tozzi, Presidente Anica (Associazione Nazionale Produttori Cinematografici, Audiovisivi e Multimediali) ha così commentato: “Rendere internet un luogo di diffusione legale dei contenuti  è un principio imprescindibile per la crescita economica e culturale del nostro Paese”. Marco Polillo, Presidente di Confindustria Cultura, ha addirittura affermato: “La consideriamo una vittoria epocale della cultura italiana contro i pirati e chi li sostiene, della legalità contro la criminalità organizzata, dell’Italia che lavora contro quella che fa demagogia”. Mauro Masi (attualmente Presidente Consap, ma già Dg Rai ed ancor prima Commissario straordinario della Siae), ha scritto che si tratterebbe di un passo storico: “il tentativo più importante attuato nel nostro Paese per difendere il diritto d’autore sin dalla famosa legge Bottai del 1942”. Parole forti e forse eccessivamente entusiastiche, ma – senza dubbio – in una situazione stagnante, anche un piccolo sassolino sembra provocar impetuose onde….

Al plauso di Confindustria Cultura, e di Confindustria Radio Tv (presieduta da Rodolfo De Laurentiis; si ricorda che nella neonata associazione è confluita la Frt), si è associata una benedizione, ma critica, dell’altra anima confindustriale, ovvero Confindustria Digitale (presieduta da Stefano Parisi), che ha sostenuto che è necessario apportare delle correzioni al Regolamento (per esempio, la prevista rimozione selettiva dei contenuti di un sito da parte di soggetti diversi dal “content provider” appare di difficile applicabilità).

Dall’altra parte, ovvero dai sostenitori del copyright libero e della più estrema libertà della rete, le critiche sono state molto dure. Paolo Nuti di Assoprovider (l’associazione dei provider indipendenti) e Marco Pierani di Altroconsumo hanno dichiarato di voler ricorrere al Tar, ribadendo in sostanza quel che avevano temuto, ovvero che si tratterebbe di un regolamento… “ammazza internet”. Le critiche più serrate sono essenzialmente relative a due questioni: da un lato, si accusa Agcom di voler imbavagliare la rete, avvantaggiando i detentori dei diritti, bypassando il “naturale” procedimento (ovviamente lento) di fronte all’autorità giudiziaria; dall’altro lato, esiste un acceso dibattito sulla legittimità o meno dell’intervento di Agcom, autorità amministrativa, a poter emanare un tale regolamento (che ad alcuni appare una legge), che sarebbe di stretta pertinenza del Parlamento.

Tra le voci dissidenti, val la pena riportare le critiche dell’avvocato “libertario” Guido Scorza, che ritiene il regolamento un’impropria “quasi-legge”, destinata a disciplinare l’intera materia dell’“enforcement” dei diritti d’autore online in assenza di una precisa norma di legge che autorizzasse Agcom ad intervenire. Ha scritto sul suo blog de “l’Espresso”, “l’Avvocato del Diavolo”: “Siamo appena entrati nel guinness dei primati: siamo l’unico Paese in Europa nel quale un’Autorità amministrativa può ordinare la cancellazione di un contenuto dal web, e disporre che gli internet service provider – tutti – dirottino il traffico diretto verso una determinata pagina o un’intera piattaforma”. Secondo Scorza ed altri osservatori critici, ci si troverebbe di fronte al rischio di vere e proprie violazioni della libertà d’espressione e finanche dei diritti umani tout-court. Sostiene Scorza: “Chiunque potrà attivare il procedimento di rimozione di un contenuto anche senza aver, preventivamente, attivato l’eventuale procedura di ‘notice and take down’ previsto dal gestore del sito, e l’Autorità, in caso di mancato adeguamento spontaneo alla segnalazione da parte dell’uploader del contenuto o del gestore del sito o della pagina, non perderà neppure tempo ad ordinare a questi ultimi la cancellazione, rivolgendosi direttamente all’internet services provider, con un ordine di cancellazione coatta o di disabilitazione all’accesso”. L’avvocato Fulvio Sarzana, anch’egli militante sul fronte anti-regolamento e convinto nemico del temuto ruolo Agcom di “sceriffo del web”, ha sostenuto il 15 gennaio che “il regolamento è completamente sbilanciato a favore delle grandi lobby dell’intrattenimento, dell’editoria, ma anche del software. La norma istituisce un meccanismo di segnalazione all’Autorità e di ordini di rimozione e/o di disabilitazione all’accesso, istituito dall’Agcom, che diviene signora incontrollata di qualsiasi attività avvenga sul web italiano”.

Non siamo costituzionalisti, e non possiamo esprimerci in argomento, né sarebbe nostro compito farlo.

Resta comunque il dato di fatto che l’industria culturale italiana, negli ultimi anni, ha subito gravi danni, secondo stime Fapav (per quanto mai ben validate) nell’ordine di circa 500 milioni di euro annui, soltanto per quanto riguarda il comparto audiovisivo, ed è rimasta troppo a lungo una “terra di nessuno” in cui predare a piacimento: un vero e proprio Far West, come da titolo di un commento pubblicato su “il Sole 24 Ore” del 13 dicembre dal Commissario Posteraro. Va combattuta l’idea – scrive Posteraro – della rete “come un far west, nel quale è consentito fare strame impunemente dei diritti altrui, magari con la copertura dell’anonimato”. Sulla stessa linea, l’altro commissario Agcom relatore, Antonio Preto, che, sulle colonne di “MediaDuemila” ha scritto il 18 dicembre: “non esiste alcun trade off tra il diritto d’autore e la libertà di manifestazione del pensiero”.

In verità, a rifletterci seriamente ed a freddo, non ha gran senso assumere posizioni radicali in un senso o nell’altro – troppo entusiastiche o troppo critiche – ancor prima di vedere i concreti risultati del regolamento Agcom alla prova dei fatti. 

A naso, riteniamo possa trattarsi comunque di un buon compromesso tra chi auspicava più radicali interventi repressivo-censori (magari guardando il modello nipponico, ove anche il piccolo pirata domestico rischia veramente la galera) e chi invece vedeva nella regolazione un intollerabile bavaglio alla rete, e comunque un intervento non preceduto da una norma primaria legittimante (i seguaci di Grillo hanno addirittura gridato all’espropriazione della funzione del Parlamento: Cardani è stato definito “un autocrate che snobba il Parlamento” dai parlamentari del Movimento Cinque Stelle in Commissione Trasporti della Camera).

Il Presidente Cardani, in un’audizione del 15 gennaio di fronte alle Commissioni Cultura e Trasporti della Camera, ha sostenuto che il regolamento si pone come “ragionevole sintesi fra i differenti e variegati interessi in gioco”. Va segnalato che due giorni dopo l’intervento del Presidente Agcom, il 17 dicembre, è intervenuto sull’argomento il Commissario Ue Responsabile per il Mercato Interno, Michel Barnier, il quale ha confermato che il regolamento dell’Agcom è “conforme al quadro legislativo europeo”, ma ha precisato anche che la Commissione “ha in effetti delle domande e dei dettagli da verificare”, e su questo “continua a lavorare con le autorità italiane”. Pur giudicando positivamente l’iniziativa, Bruxelles nutre infatti alcuni dubbi sui nuovi poteri sanzionatori assegnati all’Authority e sulla possibilità di rimuovere dai blog i contenuti con parti di opere altrui. In particolare, ha destato la perplessità della Commissione la volontà dichiarata di voler perseguire i professionisti della pirateria, chiudendo esplicitamente un occhio per le violazioni degli utenti finali e per le applicazioni “peer-to-peer” di condivisione di file online. Inoltre è stato richiesto di comprendere meglio se le nuove norme si applicano soltanto al “provider host”, od anche ai “provider di servizi intermedi” (ossia i siti che mettono a disposizione i link), e di meglio specificare le definizioni di chi carica il materiale in rete (“uploader”), manager e persona competente di un sito. La Commissione Europea, pur riconoscendo che nel suo complesso l’iniziativa sembra essere orientata verso l’equilibrio dei diversi interessi delle parti coinvolte, ha anche chiesto spiegazioni sulle questioni del diritto alla difesa, del giusto processo e del principio del contraddittorio, che non potrebbero non essere in linea con la Carta Ue dei diritti fondamentali. La partita non è chiusa, quindi, ma si deve ben precisare che i chiarimenti richiesti (Barnier ha dichiarato che la Commissione attende ancora alcune risposte dall’Agcom) non bloccano in alcun modo l’entrata in vigore del regolamento, prevista per il 31 marzo 2014.

In conclusione, finalmente, esiste anche in Italia, dal 1° aprile 2014, una forma – finanche sperimentale – di contrasto al costante e progressivo depauperamento dell’industria culturale: depauperamento del sistema culturale che determina l’impoverimento dell’intera socio-economia del Paese.

E anche qualora non fosse il “migliore dei regolamenti possibili”, ci sarà  comunque tempo per modificarlo.

(a cura della Redazione Italiaudiovisiva – Elena D’Alessandri) 29 gennaio 2014

Copyright online: in Europa approvato un sistema di licenze collettive, in Francia un’Hadopi edulcorata

Il 9 luglio scorso la Commissione Juri (commissione di affari giuridici) del Parlamento Europeo ha approvato una proposta di direttiva sulla gestione collettiva dei diritti a livello europeo.

Sono anni che si auspica la creazione di un mercato unico di licenze paneuropee (per la musica, ma non soltanto), ma negli ultimi tempi l’urgenza si era fatta più stringente in conseguenza di una società sempre più interconnessa e quindi anche al fine di cogliere e sfruttare al meglio le opportunità offerte dal digitale.

Gli obiettivi della proposta sono, in primis, quello di migliorare la governance e la trasparenza delle società di gestione collettiva dei diritti attraverso una rinnovata regolamentazione: questo elemento appare cruciale sia per gli autori e gli artisti che potranno ottenere pagamenti puntuali dalle società di gestione dei diritti cui si affidano, ma anche per il mercato interno e per la diffusione della cultura nel suo insieme. In secondo luogo si auspica di rendere più semplice, per i service providers che operano online – come iTunes e Spotify – l’ottenimento delle licenze e l’offerta dei propri servizi in Europa.

In parallelo a iniziative di singole collecting society, sono stati avviati dibattiti istituzionali volti a guidare un’armonizzazione ed una regolazione che ormai si pone come imprescindibile.

La proposta di direttiva sembra aver riscontrato un plauso generale, votata all’unanimità dai 22 membri della Commissione. La relatrice, la francese Marielle Gallo, del Partito Popolare Europeo, ha sottolineato come, per la prima volta, si sia raggiunta l’unanimità su un documento in materia di tutela del copyright, aldilà di divergenze di colore politico e ideologico.

La proposta prevede che i fornitori di servizi online possano rivolgersi ad una sola entità al fine di ottenere licenze e gestire le opere di artisti di differente provenienza. Un processo di “snellimento” dunque, oltre che un passo importante verso l’armonizzazione e l’auspicato mercato unico digitale.

“Un passo avanti per il mercato, un passo avanti per gli artisti, capace di ampliare il panorama della cultura per i cittadini”, ha commentato la relatrice della proposta.

Rimanendo in tema, è sempre del 9 luglio scorso la pubblicazione del decreto, sul Journal Officiel, con il quale viene soppressa la sanzione di sospensione di accesso ad internet che poteva essere inferta, su richiesta del giudice, dal sistema Hadopi. Si prende atto quindi che la Francia ha in parte “edulcorato” le proprie strategie di lotta alla pirateria: il giudice, in caso di condanna, non potrà più richiedere la sospensione della connessione ma soltanto il pagamento di una sanzione per un massimo di 1.500 euro. Del resto, ha sottolineato il Ministro della Cultura e della Comunicazione francese, Aurélie Filippetti, l’abbandono delle disconnessioni non ha nulla a che vedere con il diritto del cittadino a informarsi e a comunicare in rete, né tantomeno con dettato costituzionale. E, soprattutto, ha proseguito, questo mette in evidenza come l’asse prioritario sia divenuto quello di una battaglia alla pirateria commerciale, contro quei siti che traggono profitti dai contenuti pirata, monetizzandoli senza remunerare i creatori. Si tratta dunque di un cambiamento di strategia e di… “filosofia”, che non mira più a opporre creatori ed internauti, minacciando questi ultimi con il taglio dell’accesso alla rete, divenuta peraltro – soprattutto per i più giovani – un mezzo fondamentale di accesso alla cultura.

Le competenze dell’Hadopi, ha concluso la Filippetti, verranno trasferite al Csa –  Conseil Superieur de l’Audiovisuel, e l’Haute Autorité verrà soppressa.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 11 luglio 2013

Allarme pirateria. L’Aesvi risponde con la campagna “All4Games”

Grande continua ad essere la preoccupazione dei produttori di contenuto rispetto al problema – ancora irrisolto in Italia – della pirateria audiovisiva. Nei mesi scorsi lo “Special 301 Report 2013” del Governo Americano aveva lasciato, anche per l’anno 2012, l’Italia nella “watch list” (ove era stata “allocata” anche l’anno precedente), ovvero in quell’elenco di Paesi da tenere “sotto osservazione”. Si leggono nel rapporto le ragioni della scelta: “Nonostante l’Autorità per le Comunicazioni (Agcom) abbia fatto progressi tra il 2011 e l’inizio del 2012 con un regolamento mirato a combattere la pirateria online, questo procedimento è ancora in fase di stallo. Questo fa sì che i titolari del diritto d’autore debbano affrontare grosse sfide per creare meccanismi efficaci contro la pirateria su Internet. Gli Stati Uniti incoraggiano l’adozione di provvedimenti che riducano i tempi di giudizio nelle controversie sul diritto d’autore nei tribunali italiani e garantiscano che si arrivi a sentenze definitive”.

Proprio nelle scorse settimane l’Agcom, sotto la guida del Presidente Cardani, ha ripreso in mano la delicata questione della tutela del diritto d’autore online, promuovendo anche un workshop internazionale di discussione e confronto nella istituzionale sede di Montecitorio (per un approfondimento, su queste stesse colonne “Speciale Diritto d’Autore online. Workshop Agcom 24 maggio 2013”), ed appare ormai risoluta a voler trovare una soluzione nel breve periodo – tanto da aver annunciato un provvedimento addirittura “prima dell’estate”.

Ciò nonostante la situazione permane critica e, nel 2012 l’Italia è risultata essere terza in classifica – e non si tratta certo di una posizione di cui andar fieri – per volume di scambio di videogiochi pirata su reti peer to peer e su piattaforme cyberlocker.

A muoversi questa volta è stata dunque l’Aesvi (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani), lanciando la campagna di sensibilizzazione “All4Games”. La campagna è stata realizzata con il contributo di tre sviluppatori italiani: Michele Caletti (Game Director di Milestone), Andrea Tabacco (Game Designer di Forge Reply), Gianmarco Zanna (Producer di Ubisoft Milan), ed è stata sviluppata col supporto di FleishmanHillard, società di comunicazione integrata, SlowDance, casa di produzione e Wishbone Farm, digital manufacturers.

I tre video raccontano la storia dei professionisti che ogni giorno, grazie al loro lavoro, contribuiscono a creare videogames capaci di intrattenere giocatori di tutto il mondo; l’attenzione viene focalizzata sulla passione per il videogioco, punto di partenza per coloro che hanno scelto di trasformare questa passione in un percorso professionale.

Il segretario generale Aesvi, Thalita Malagò, ha così commentato l’iniziativa “Quando si gioca con un videogioco, raramente si pensa al lavoro che ha portato alla sua realizzazione e alle persone che vi hanno contribuito. All4Games nasce con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza dei consumatori su ciò che sta all’origine del nostro e del loro divertimento. Attraverso le tre storie che raccontiamo su www.all4games.it ci proponiamo di sensibilizzare il grande pubblico sull’importanza di rispettare il diritto d’autore, che rappresenta un fattore chiave per lo sviluppo dell’industria dei videogiochi in Italia e nel mondo”.

Importante sottolineare l’approccio innovativo e finanche “positivo” che contraddistingue l’impostazione di questa campagna di sensibilizzazione, i cui video non “minacciano” l’utente “scaricone”, ma puntano sull’elemento di condivisione esistente tra sviluppatore e fruitore, spingendo entrambi (ma soprattutto il secondo!) ad una maggiore attenzione per la tutela del prodotto.

 

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 5 luglio 2013

 

 

Si riaccende la battaglia degli editori europei contro Google. Ritenuti insufficienti i “rimedi” proposti da Mountain View

Come è noto, l’antitrust europeo nel novembre 2010 ha aperto un’indagine sul presunto abuso di posizione dominante del gigante di Mountain View nel settore della ricerca e della pubblicità online.

Nel marzo 2013, la Commissione Europea ha riconosciuto che Google probabilmente stesse “abusando” di “posizione dominante” nel mercato del “search” in Europa, individuando quattro aree di potenziale preoccupazione. Per tutta risposta Google, il 25 aprile scorso ha presentato alla Commissione alcune “modifiche/rimedi”, al fine di una conciliazione volta a chiudere l’indagine. Tra le proposte avanzate, in primis un sistema di etichettatura che renda visibili i risultati delle ricerche che promuovono il loro marchio, ovvero un servizio Google, quindi l’impegno a segnalare i link dei motori di ricerca concorrenti. Le proposte avanzate da Big G sono state sottoposte ad un “market test” della durata di un mese (con scadenza 27 giugno 2013), periodo durante il quale gli operatori del settore online sono stati invitati ad esprimere pareri, proposte o dissensi sull’efficacia dei “rimedi” proposti.

Il 25 giugno scorso, i principali editori europei di giornali e magazine hanno inviato una lettera-appello al Commissario Europeo per la Concorrenza, Joaquin Almunia tra i firmatari dell’appello figurano la European Magazine Media Association, la European Newspaper Publishers’ Association, lo European Publisher Council e la Online Publishers Association Europe, ed anche l’italiana Fieg – con la quale hanno esternato la propria posizione sull’argomento in maniera netta, critica e niente affatto negoziabile. Gli editori ritengono infatti le proposte avanzate dal colosso della rete assolutamente insufficienti a ristabilire un piano di concorrenza e pluralismo del mercato della ricerca online, e difficilmente migliorabili in modo tale da poter mettere fine alla manipolazione della ricerca operata da “Big G”, e all’indebita sottrazione di contenuti. Hanno quindi richiesto, con fermezza, il rigetto dei “rimedi” proposti da Google lo scorso 25 aprile, ed hanno insistito sull’importanza che l’indagine prosegua fino in fondo.

Nel mentre, tra le richieste avanzate dagli editori, l’assoluto divieto per Google di utilizzare contenuti degli editori, al di là di quanto strettamente indispensabile per la navigazione.

Come molti ricordano e come noi stessi abbiamo riportato su queste colonne nei mesi scorsi in Francia è stato siglato un accordo tra le parti (intesa che ha determinato l’istituzione di un “fondo” alimentato da Google stessa per stimolare il rapporto tra editori della carta stampa e web), mentre in Germania è stato approvato un disegno di legge che tutela il copyright (la famosa “Lex Google”). In Italia, ancora nulla è concretamente accaduto, ma fonti accreditate riportano l’intenzione di giungere ad una normativa che spinga le parti ad un’intesa, sebbene questa prospettiva sia soggetta alle prevedibile tempeste che dovrà affrontare l’incerto esecutivo Letta. Intanto l’Agcom si è impegnata a presentare una bozza di regolamento sul diritto d’autore online prima dell’estate.

Tra le altre richieste avanzate dagli editori europei, l’obbligo che Google utilizzi criteri di ricerca e visualizzazione uguali per tutti i siti, e non favorisca quelli che offrono servizi “marchiati” Google appunto. Inoltre, è stato chiesto di non penalizzare siti che limitano l’uso dei propri contenuti, oppure quelli di quotidiani e periodici a favore di aggregatori di news.

Gli editori ritengono assolutamente inadeguati gli impegni assunti da Google per un “aggiustamento di rotta”, ed hanno quindi chiesto alla Commissione di assumere uno “State of Objections”, ovvero un documento che giudichi insufficienti le proposte di Mountain View e consenta di passare alle vie legali.

Per meglio comprendere lo stato d’animo degli editori, si riportano le dichiarazioni rilasciate il 25 giugno dal Presidente della Fieg (Federazione italiana Editori di Giornali ), Giulio Anselmi: “Se Google non presenterà al più presto proposte sostanzialmente migliorative, gli editori chiedono che la Commissione utilizzi tutti i suoi poteri legali per contenere il gigante, che detiene il 90 % della quota nel search”. Sulla stessa linea anche i colleghi  tedeschi e spagnoli. Luis Enriquez, Presidente dell’Associazione Spagnola di Editori di Giornali, ha sostenuto che “i rimedi proposti da Google non risolvono i problemi generali, anzi talvolta potrebbero addirittura peggiorare le cose rendendo il suo dominio più stabile e ingannando i consumatori”.

(a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 27 giugno 2013

Speciale Diritto d’Autore online. Workshop Agcom 24 maggio 2013

Rproduciamo qui quanto pubblicato nei giorni scorsi sul sito web della testata del gruppo Il Sole 24 Ore, “Millecanali” sul workshop Agcom del 24 maggio scorso

http://www.millecanali.it/dossier-il-diritto-d-autore-online/0,1254,57_ART_211544,00.html

Dossier: il diritto d’autore online

Un lungo speciale sul workshop Agcom sul “Diritto d’autore online”, tenutosi venerdì 24 maggio alla Sala del Mappamondo della Camera dei Deputati.

Elena D’Alessandri e Filippo Oriani

12 Giugno 2013

Il diritto d’autore è una delle questioni (ri)aperte dall’avvento di internet e delle nuove tecnologie, ma è strettamente collegato ad una serie di diritti fondamentali – ancorché facilmente strumentalizzabili dalle parti – tra cui la libertà d’intrapresa, di parola, di libera espressione. Rispetto all’ormai “preistorica” era analogica, la discussione non è più concentrata sul polo dei produttori di contenuti, ma coinvolge anche l’opinione pubblica (leggi i consumatori) come mai prima d’ora: la necessità di un ripensamento, o quantomeno di un intervento correttivo del quadro normativo vigente è condivisa sia dalla quasi totalità degli esperti e degli addetti ai lavori, sia da buona parte dei fruitori delle opere dell’ingegno. Circa due anni fa l’Autorità italiana per le Garanzie nelle Comunicazioni aveva preparato una bozza di regolamento per il diritto d’autore online, bozza che aveva sollevato molte polemiche e numerosi dissensi ed era infine stata affossata anche sull’onda della fine del settennato guidato da Corrado Calabrò. Poche settimane fa l’Agcom ha deciso, dopo mesi di silenzio, di tornare sulla spinosa questione, preannunciando un regolamento già per l’estate. Il workshop del 24 maggio, dal titolo “Il diritto d’autore online”, tenutosi presso una gremita Sala del Mappamondo della Camera dei Deputati a Montecitorio, è stata quindi l’occasione per ripartire. Il fenomeno cruciale della pirateria, attualmente ben più diffuso rispetto al passato, va analizzato su due differenti binari, uno culturale ed uno economico; entrambi certamente ed inequivocabilmente gravi, ma tra i quali il nesso è causale: il secondo è conseguenza del primo. Sorprende perciò che spesso l’attenzione sia rivolta alla punizione dei “delinquenti” (ché tali, senza dubbio, vanno chiamati) più che ad operazioni di sensibilizzazione o a ben più efficaci strategie di offerta legale: “efficaci”, qui, è un termine riferito sia alla diffusione di una corretta cultura digitale sia al ritorno economico per le industrie creative. È evidente infatti che l’incosapevolezza culturale prevalga, e di gran lunga, rispetto all’ideologia pirata, sebbene quest’ultima abbia un ruolo ben definito e di un certo rilievo nel dibattito anche politico. Piace quindi constatare come il convegno non si sia rivelato un’ennesima acrobatica corsa in equilibrio precario, ma abbia saldamente poggiato su entrambi i suddetti binari.  Anzi: il Presidente Angelo Marcello Cardani, nella sua introduzione, ha inequivocabilmente sostenuto che “l’Autorità è convinta che il primo elemento da prendere in considerazione per affrontare il problema sia l’educazione, cioè abituare gli utenti alla cultura della legalità nell’utilizzo dei contenuti digitali. Accanto a questo tema, occorre anche promuovere l’offerta legale, che sia appetibile e concorrenziale. Da ultimo c’è il tema dell’enforcement, eticamente e tecnicamente difficile”. Ciò per cui gli ideologi della pirateria criticano l’approccio dell’Autorità è smentito non solo dal buon senso e dai fatti, ma anche dal perentorio intervento di Antonio Martusciello: “Politiche che guardano soltanto al lato repressivo del fenomeno sono destinate a fallire, perché sarebbero percepite come vessatorie da gran parte degli utenti. Laddove si sviluppa l’offerta legale, la pirateria arretra. L’utenza dev’essere edotta sui rischi che comporta il download illegale: la gratuità è solo un’illusione. L’obiettivo dell’Autorità è ridurre il fenomeno della pirateria massiva a una dimensione fisiologica, colpendo l’abuso perseguito attraverso uno sfruttamento sistematico dell’opera altrui: l’azione di contrasto sarà selettiva e concentrata sui siti che gestiscono in modo professionale la pirateria, e non sul fair-use dei singoli utenti. Non riteniamo valide misure dirette ad incidere, criminalizzandoli, sugli utenti finali”. La sessione plenaria mattutina, in cui è stato possibile riconoscere quasi tutti i volti dell’industria creativa e dei contenuti italiana, ha visto coinvolti numerosi speakers stranieri, proprio per facilitare quel confronto e quell’apertura dichiarata da Cardani: “Sono stati effettuati studi, altri esperti verranno consultati e l’Authority è aperta, con un approccio di learning by doing, ad ogni forma di confronto, purché costruttivo e scevro da pregiudizi”. A conferma di ciò, si è partiti da uno sguardo d’insieme sul panorama europeo e statunitense con la Direttrice della Proprietà intellettuale della Direzione Generale Mercato Interno della Commissione Europea, Kerstin Jorna, e Standford Mc Coy, Assistant Us Trade Representative per la Proprietà Intellettuale e l’Innovazione. La prima ha puntualizzato sul fatto che, almeno in seno all’Europa, servano regole condivise per le società di raccolta (su cui la Commissione conta di agire a livello legislativo entro fine anno) ma anche ben ponderate al fine di evitare eccessi: “Ad esempio, se carico un video di mio figlio che balla con il sottofondo di una canzone protetta da diritto d’autore, che senso ha che io venga perseguita?”. I grandi sforzi che la Commissione sta sostenendo sono insomma rivolti alla ricerca di un solido equilibrio tra innovazione e protezione, cercando di mantenere il livello di quello che la Direttrice ha chiamato il “miglior sistema al mondo per il diritto d’autore”. Proseguendo, ha rimarcato la necessità di agevolare le procedure di micro-payment in rete, soprattutto per i giovani spesso sprovvisti di carte di credito e, per quanto riguarda l’enforcement, eliminare i free riders. In una consultazione condotta dalla Commissione sulle diverse forme di enforcement a livello nazionale, è emerso inoltre che esiste un problema di costo e durata dei procedimenti, talvolta eccessivi a seconda delle legislazioni e dei metodi adottati (si passa da meno di 2 anni in contesti come Paesi Bassi, Regno Unito, Germania ai 3-5 anni di Italia, Spagna e Ungheria). Ha poi portato alla luce un’altra importante questione affrontando il tema dell’advertising online basato sul pay-per-click: i “bad sites” lucrano sì illecitamente, ma c’è anche chi, a ben vedere, sfrutta gli spazi che questi mettono a disposizione del mercato, nascondendosi dietro una pratica di fatto “obliquamente” legale. Jorna ha concluso infine con una tema più volte riemerso nel corso della mattinata e largamente condiviso, schierandosi contro l’illusione che in rete sia tutto gratuito e che copyright e internet siano due elementi antitetici. Standford McCoy ha portato invece il punto di vista dell’Office of Trade Representatives for Intellectual Property and Innovation, l’organismo statunitense che si è occupato di redigere la lista dei Paesi nemici del copyright, un elenco (disponibile qui) in cui l’Italia figura nella “Watch List”, ovvero “sotto osservazione”: “Noi dobbiamo essere sicuri che tutti i nostri partner internazionali tutelino il diritto d’autore come lo facciamo noi. In questo senso, non possiamo che riconoscere il duro lavoro già fatto dall’Agcom in questi ultimi anni. Il Digital Millennium Copyright Act non è perfetto, ma resta il nostro quadro di riferimento che peraltro ha trovato grande consenso in seno all’industria made in Usa”. McCoy ha concluso esortando a fare il possibile per rendere internet una piattaforma per la crescita economica nella quale autori, creatori ed artisti possano prosperare. Il Commissario dell’Autorità Maurizio Décina ha quindi moderato la sessione internazionale, cui hanno partecipato esponenti di spicco di Francia, Regno Unito, Spagna e Paesi Bassi. Nella sua nota introduttiva Décina ha ribadito l’importanza del ruolo giocato dall’educazione, visto che più della metà dei pirati non sa nemmeno cosa sia il copyright nè che il downloading o lo streaming (da siti pirati) costituisca reato. Prima a prendere la parola è stata la francese Sarah Jacquier, Direttrice del Dipartimento Giuridico dell’Hadopi. Jacquier ha illustrato il lavoro svolto dall’Alta Autorità transalpina nel triennio 2010-2012 e l’impatto che il meccanismo della risposta graduale ha avuto sul downloading e sul peer-to-peer. Sono stati quindi illustrati i “portentosi” effetti educativo-pedagogici determinati dagli avvertimenti, così come testimoniato dal fatto che a 1,8 milioni di prime email siano seguite soltanto 160mila seconde raccomandate e 559 terzi avvisi. Certamente, ha concluso, “il Rapport Lescure recentemente consegnato al Governo, rimescola le carte e propone di affidare le competenze dell’Hadopi al Csa – Conseil Superieur de l’Audiovisuel, ma, nonostante le modifiche proposte (tra cui si ricorda l’eliminazione dei provvedimenti di disconnessione dell’utente e la tassazione dei dispositivi mobili), riconosce l’efficacia dissuasiva della risposta graduale”. Tutt’altro piglio quello di Campbell Cowie dell’Autorità britannica Ofcom, che ha sostenuto: “Dobbiamo avere la massima cautela su tutti i punti critici che riguardano il confine tra consumo ed infrazione. Esiste la necessità di valutare caso per caso per conoscere a fondo chi è che viola le regole e quale reale danno può arrecare all’industria. Questo per scongiurare decisioni eccessive e talvolta inutili. È per questo che in Regno Unito non si addiverrà ad una nuova legge prima del 2015”. Cowie ha quindi illustrato i risultati di un survey dalla quale emerge che il 44% dei trasgressori dell’universo 12+ non hanno alcuna coscienza di cosa sia legale e cosa no, e che il 18% dei surfers dichiara che smetterebbe di usare siti pirata qualora i servizi legali fossero più convenienti, maggiore l’offerta, più corte le windows distributive e maggiore la disponibilità di servizi in abbonamento. Inoltre la pirateria diminuirebbe se gli Isp inviassero avvertimenti o riducessero la velocità di banda ai trasgressori (la ricerca è disponibile sul sito istituzionale dell’Ofcom). Sulla linea della prudenza anche Carlos Guervos, membro della Commissione spagnola sulla proprietà intellettuale: “È necessario farsi sempre guidare da un principio di prudenza”. Che ha poi aggiunto “Bisogna partire dal presupposto che ciò che è illegale nel mondo reale lo è anche nel mondo virtuale e deve essere trattato e punito allo stesso modo”. L’ultimo intervento del panel è stato quello di Nico Van Eijk, Professore dell’Università di Amsterdam, il quale ha innanzitutto evidenziato l’assoluta inconsapevolezza del “pirata medio” che nel 30 % dei casi dichiara addirittura che il downloading sia una pratica legale. Successivamente il professore olandese ha mostrato delle statistiche effettuate sulla percentuale di downloading illegali nei vari settori dell’industria dei contenuti a distanza di 4 anni. Se nel 2008 si registrava un 32% di download illegali in Europa, nel 2012 la stessa rilevazione era scesa al 22%. Questo palesa come un’offerta legale ricca sia più proficua della repressione a tutti i livelli. Van Eijk ha rimarcato la netta differenza esistente tra singoli individui che compiono azioni “piratesche” e organizzazioni dedite alla violazione massiva del copyright, un approccio che da quel momento legherà molti degli interventi che seguiranno diventando uno dei punti condivisi della giornata. Chiudono il panel mattutino rapidi interventi di due giuristi e un mediologo italiani: Maurizio Mensi, Eugenio Prosperetti e Angelo Zaccone Teodosi. Maurizio Mensi, Professore di Diritto dell’informazione e della Comunicazione alla Luiss Guido Carli di Roma, ha sostenuto con particolare convinzione: “Mentre dall’Europa aspettiamo una legge da quasi dieci anni, in Italia il quadro legislativo parla chiaro: l’Agcom ha poteri di enforcement per la protezione del diritto d’autore nonchè poteri inibitori, come nelle intenzioni della consiliatura Calabrò. Una delega talmente chiara che potrebbe addirittura configurare il non deliberare da parte dell’Authority come una mancanza rispetto a quanto prevede la legge. Il punto non è dunque cosa, ma come mettere in atto i provvedimenti. Ed è chiaro che lì andrà esercitato il massimo bilanciamento di tutti i diritti che entrano in gioco”. Il docente di Competition Law and Policy dell’Università di Siena, Eugenio Prosperetti ha rimarcato la mancanza di una chiara definizione di “opera digitale” nel nostro ordinamento, vulnus che potrebbe essere foriero di incomprensioni normative, per poi focalizzarsi sullo strumento delle segnalazioni dei titolari di diritto: “Nel notice-and-takedown previsto dal Dmca americano si afferma chiaramente che un titolare di diritto, qualora volesse segnalare una presunta violazione, oltre a fornire tutto il materiale necessario a provare la sua rivendicazione deve firmare un’assunzione di responsabilità in merito a ciò che dice. E se risulta in torto, è costretto a pagare i danni. Non si può concedere il diritto a semplici e incontrollate segnalazioni verso i provider”. Chiude infine Angelo Zaccone Teodosi, Presidente IsICult e affermato mediologo, invitando ad evitare un semplicistico approccio dicotomico che vede contrapposta la gloria di un internet “panacea di tutti i mali”, in cui “la pirateria tende a configurarsi come un atto politicamente corretto in quanto avanguardia rispetto al vecchio”, ai cosiddetti “estremisti della proprietà intellettuale”. La reciproca demonizzazione tra questi due poli non solo riduce il dibattito a una teorizzazione ideologica, ma impedisce di cogliere, oltre all’aspetto giuridico della questione, quello mediologico, sociologico ed economico. Per Zaccone è in sostanza indispensabile un intervento razionalizzato della mano pubblica nell’ambito delle politiche culturali, anche a fronte del calo drammatico di occupazione e fatturato di tutti i settori dell’industria culturale nell’ultimo decennio. A questo proposito, forte del riferimento del Ministro Bray al modello francese come “riferimento per le politiche culturali italiane” in occasione della presentazione delle linee programmatiche del Ministero del 23 maggio, il Presidente di IsICult ha poi fatto un esplicito endorsement all’Hadopi: “È il migliore d’Europa, forse del mondo, ed è provato che il 90% degli utenti che ricevono la seconda lettera di avvertimento smettono di scaricare illegalmente”. Non è chiaro, va detto, se il Ministro, pronunciando quelle parole, abbia voluto comprendere nelle “politiche culturali” (che non comprendono solo i contenuti creativi digitali…) anche l’impianto normativo dell’Hadopi: il documento del Mibac (disponibile qui) parla di un generico “potenziamento della lotta alla pirateria, in particolare quella digitale”. Il panel pomeridiano “Gli strumenti di tutela”, incentrato sulla questione dell’enforcement delle misure atte a ridurre le violazioni del diritto d’autore, è stato introdotto dal Commissario Francesco Posteraro con un’osservazione non banale rispetto a una delle difficoltà dell’Autorità di Vigilanza: paragonato al legislatore, il quale ricava ampi margini di discrezionalità dall’indeterminatezza della disciplina costituzionale, “il regolatore si trova al contrario gravato di maggiori vincoli quanto più il dettato legislativo risulta privo di esplicite e dettagliate attribuzione di funzioni”. Senza contare, come anticipato sopra, i limiti posti dalla molteplicità di diritti coinvolti, tutelati dalla Costituzione e/o dal Diritto europeo (protezione della proprietà individuale, libertà di manifestazione del pensiero, promozione della cultura e della ricerca, diritto di accesso ad internet, riservatezza delle informazioni, iniziativa economica privata…). Anche il Commissario ha fatto cenno ad uno dei punti più largamente ed oggettivamente condivisibili, ovvero la “necessità di un coordinamento internazionale, poiché la rete non ha confini geografici”, ma l’idea centrale del discorso di Posteraro è che, nonostante l’AgCom stimolerà un miglioramento del quadro normativo primario, in effetti “anche a legislazione vigente sussiste lo spazio per l’intervento dell’Autorità, che ha il dovere di fare la propria parte anche attraverso il costante confronto con tutti gli operatori del settore”.Sono seguiti interventi di Paolo Marzano, docente di Tutela della Proprietà Intellettuale presso la Luiss Guido Carli, che ha proposto una panoramica dello scenario internazionale. La parola è passata quindi al Professor Guido Scorza, che per prima cosa ha sottolineato come non esistano numeri e studi economici che misurino entità e ragioni del fenomeno: quelli che esistono non sono indipendenti (e non ne hanno l’ambizione, peraltro). Inoltre la Commissione Parlamentare d’inchiesta che ha concluso pochi mesi fa i lavori sulla contraffazione non ha realizzato uno studio indipendente, rifacendosi invece, negli atti, a studi che già si conoscevano e comunque forniti da altri. Gli interventi delle associazioni partecipanti sono iniziati con quello di Luca Vespiniani (Federazione dei Produttori Musicali), seguito da Matteo Mille, della Business Software Alliance, Federico Bagnoli Rossi della Fapav e Marco Pierani di AltroConsumo. Col suo intervento Marco Ciaffone di Agorà Digitale, ha sottoposto la richiesta di un costante coinvolgimento della società civile nelle fasi di redazione del regolamento, attraverso un interlocutore unico interno ad AgCom. Giampaolo Letta, Vice-Presidente dell’Anica, si è limitato a registrare l’ovvio entusiasmo con cui si accoglierà il regolamento, se questo consentirà di agire tempestivamente e su scala internazionale, e a suggerire di sensibilizzare le società che comprano gli spazi pubblicitari dei siti o delle piattaforme pirata, se non addirittura di perseguire tale pratica. Insomma, da Sky a Mediaset, da Confindustria Cultura a Fieg a Siae, tutti si sono trovati d’accordo su alcuni assi: non si deve colpire il singolo utente, ma la fonte (il sito che lucra illecitamente); l’azione repressiva, a prescindere dal tipo di regolamento adottato, deve essere internazionale e tempestiva; la suddetta azione repressiva non è assimilabile a censura ma di semplice interruzione e punizione di attività illecita. Di questo gruppo di interventi, uno dei più puntuali e certamente il meno retorico è stato quello di Marco Ricolfi, che ha confermato i suoi dubbi riguardo il Regolamento AgCom in quanto l’Autorità si avvale di una competenza supportata dall’art. 182bis, l. 633/1941 e dall’art. 32bis del già citato Testo Unico dei Servizi Media Audiovisivi e Radiofonici. Il problema, come fa giustamente notare il Professore, è che il primo parla testualmente di “supporti audiovisivi, fonografici e qualsiasi altro supporto” nonché di “impianti”, cioè antenne; “proiezione in sale cinematografiche”; sistemi di riproduzione quali “fotocopia e xerocopia” (!), senza contare che “in caso di accertamento di violazione di norme di legge, va compilato processo verbale da trasmettere immediatamente agli organi di polizia giudiziaria”. A questa questione di legittimità, Posteraro ha risposto citando la Sentenza n° 5.827 del 2005 del Consiglio di Stato, che chiama in causa l’attribuzione anche implicita di poteri alle Autorità amministrative indipendenti secondo le norme primarie, cui “bisogna dare la possibilità di essere applicate”. La sessione plenaria a conclusione del convegno è stata inaugurata dal Commissario Antonio Preto, che ha stilato un puntuale resoconto del Panel I (Creatività e Contenuti in Rete), coadiuvato dal professor Gian Michele Roberti. In conclusione, a Cardani non è rimasto che congedare la platea e registrare la sua soddisfazione per l’andamento della giornata, che effettivamente è stata caratterizzata da una innegabile pluralità di punti di vista e da dibattiti (si spera) non solo consultivi ma costruttivi solo per il futuro Regolamento dell’Autorità Garante delle Comunicazioni, ma per la sua attività tutta.

Diritto d’autore: in Italia si riapre il capitolo “Agcom e regolazione del diritto d’autore online”, in Francia viene proposta la “iTax”

Il Nostro Paese certamente non brilla per forme efficaci di contrasto alla pirateria – che continua ad impazzare sul web – nonostante leggi e provvedimenti troppe volte annunciati e mai concretizzatosi. Già nel 2012 il Governo Americano, all’interno dello “Special 301 Report” aveva inserito l’Italia nella “watch list”; anche nel 2013 la collocazione è rimasta la medesima e, si legge nel report : “Nonostante l’Autorità per le Comunicazioni (Agcom) abbia fatto progressi tra il 2011 e l’inizio del 2012 con un regolamento mirato a combattere la pirateria online, questo procedimento è ancora in fase di stallo. Questo fa sì che i titolari del diritto d’autore debbano affrontare grosse sfide per creare meccanismi efficaci contro la pirateria su internet. Gli Stati Uniti incoraggiano l’adozione di provvedimenti che riducano i tempi di giudizio nelle controversie sul diritto d’autore nei tribunali italiani e garantiscano che si arrivi a sentenze definitive”.

Nelle ultime settimane Agcom ha deciso di tornare sull’argomento. Corre d’obbligo ricordare che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni aveva avviato un provvedimento di intervento, quasi due anni fa che però, complice la fine mandato del settennato di Calabrò, non aveva mai visto la luce.

Il preannunciato provvedimento aveva portato a posizioni nette e contrapposte tra i “difensori del web libero”, altrimenti noti come “il popolo della rete” e i “garantisti” che ancora credono nella bontà, nonché nella necessità di provvedimenti normativi anche all’interno della galassia internet.

Nel luglio 2012, con l’insediamento del nuovo Consiglio, presieduto da Angelo Marcello Cardani, l’Autorità aveva espresso l’intenzione di tornare sullo spinoso argomento, ma nulla era accaduto nei mesi successivi. Solo recentemente il Commissario Antonio Preto  ha annunciato che l’Agcom avrebbe presentato, in un convegno pubblico internazionale, un regolamento per arginare, anche nel nostro Paese, i gravissimi danni della pirateria. Sulla base del nuovo procedimento – come da dichiarazioni rilasciate dallo stesso Commissario Preto – il sito pirata andrebbe a ricevere, nell’arco di due giorni, formale diffida ad eliminare il contenuto audiovisivo o musicale che offre in modo illegale, quindi il titolare del sito potrà disporre di dieci giorni per difendersi davanti all’Agcom; trascorsi quindici giorni, l’intero “processo” andrà chiuso.

Immediata la reazione dei paladini del web libero che hanno nuovamente gridato al “bavaglio”, ribadendo peraltro che l’Autorità non può intervenire laddove è compito del Parlamento legiferare.

Nei giorni successivi, il 24 aprile, l’agenzia stampa Adnkronos diramava, in un dispaccio, le dichiarazioni, ancora una volta, del Commissario Antonio Preto: “L’Agcom non ha ancora preso alcuna decisione per regolamentare il diritto d’autore online nè ha esaminato alcun provvedimento in materia. La nostra riflessione sull’argomento è appena iniziata e proseguirà nelle prossime settimane anche attraverso iniziative pubbliche che mirano a raccogliere opinioni, spunti e suggerimenti per affrontare un tema la cui complessità e delicatezza è sotto gli occhi di tutti. È in quest’ottica che abbiamo organizzato per il prossimo 24 maggio a Roma un workshop che vedrà la partecipazione di esperti italiani ed internazionali, chiamati a discutere di questo tema e a fornire materiale utile a definire le linee di un possibile intervento in un confronto libero e trasparente”.

Seguiremo dunque con attenzione il workshop del 24 e torneremo certamente a scriverne su queste colonne.

Intanto anche Oltralpe l’atmosfera appare rovente all’indomani del “Rapport Lescure” sull’eccellenza culturale francese, consegnato appunto da Pierre Lescure (cofondatore di Canal Plus) al Presidente Hollande.

La proposta francese, ben dettagliata in un rapporto che consta di oltre 400 pagine – “quasi 2 chili e mezzo di carta per oltre 80 proposte” ironizza Stefano Montefiori sul Corriere della Sera del 15 maggio – prevede, importanti novità in materia di lotta alla pirateria. L’Hadopi – Alta Autorità per la Protezione dei Diritti di Proprietà Intellettuale, voluta dall’ex Presidente francese Sarkozy e da più parti contestata – è stata messa a tappeto. Riconoscendo comunque l’efficacia di un procedimento basato sulla risposta graduale, questo verrà mantenuto, ma affidato alle cure del Csa (Conseil Superieur de l’Audiovisuel), che diventerà il “regolatore dell’offerta culturale su digitale”. In ogni caso sparirà il rischio di “disconnessione” (contemplato dall’Hadopi, sebbene quasi mai messo in atto nella pratica), sostituita da un’ammenda di 60 euro, o più in caso di recidiva. Questo sistema alternativo è stato fortemente caldeggiato, negli ultimi mesi, dai produttori di musica, che ambiscono ad un meccanismo più rapido e sistematico di “condanna” piuttosto che un complesso meccanismo giuridico lungo come quello messo in campo dall’Hadopi. Il rapporto Lescure esorta poi tutti gli attori della filiera ad offrire agli internauti una più ricca offerta legale, rompendo di fatto il sistema delle “window”: il prodotto non uscirà più, gerarchicamente, prima al cinema, poi su pay-tv ed infine sulla tv generalista, ma in contemporanea su tutte le piattaforme. La vera innovazione infine risiede nella proposta di introdurre una tassa su qualsiasi apparecchio connesso ad internet, in modo da alimentare un fondo a favore dei contenuti della rete e della transizione al digitale. Lescure parte dall’osservazione che la tassa sulla “copia privata” è stata essenzialmente superata. Sono in pochi oggigiorno a comprare libri, cd o dvd (fisici o digitali che siano) e la maggior parte degli utenti ormai consuma musica e film in streaming. Mentre l’utente medio non è spesso propenso a pagare pochi euro per un album musicale o un film, è altresì disponibile ad investire 300 o anche 500 euro per l’acquisto di uno smartphone o tablet di ultima generazione. Da ciò l’idea di imporre una tassa, inizialmente dell’1% sul prezzo del dispositivo acquistato.

I dubbi irrisolti restano numerosi. Da una parte ci si domanda, in termini pratici, come si possa applicare una tassa a device prodotti in Usa o Giappone per favorire contenuti propri della cultura francese.

Ci si interroga quindi su come sarà possibile far approvare questa tassa a Bruxelles, visto che la Commissione Europea esclude la possibilità di tassare un’industria (quella teconologica/digitale) per finanziarne un’altra (quella culturale).

L’obiettivo, cioè far cassa per rilanciare la cultura è certamente condivisibile – e peraltro porterebbe nelle casse francesi circa 90 milioni si euro – tanto più in un momento in cui il settore è spesso oggetto di crudeli tagli imposti dalla spending review, ma, ad oggi, le concrete chance di attuazione di questa proposta restano nebulose.

Ma intanto si è sollevato un gran polverone, sulla stampa francese, ma non solo.

Staremo a vedere.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 17 maggio 2013

 

 

Un duro colpo per la pirateria: 27 siti pirata oscurati grazie all’operazione Crackdown

Mercoledì 24 aprile, dopo quattro mesi di indagini, a seguito di una denuncia partita da un piccolo operatore italiano, la Sunshine Pictures (casa di distribuzione del film d’animazione francese “Un Monstre à Paris”, tra gli altri), la Polizia Postale, ovvero il Compartimento della Polizia Postale e delle Comunicazioni del Lazio, ha messo in atto una “maxi-retata”, conclusa con l’oscuramento preventivo di 27 siti pirata, che mettevano a disposizione contenuti audio e video protetti da copyright. L’operazione “Crackdown” è scaturita a seguito della denuncia per sfruttamento illecito del diritto d’autore. I monitoraggi esperiti dagli investigatori del Compartimento hanno consentito di accertare l’esistenza di una vera e propria “piattaforma alternativa” ai servizi offerti dalle emittenti a pagamento e dall’industria cinematografica, con una disponibilità potenzialmente infinita di prodotti da offrire al pubblico, tra cui opere attualmente in prima visione nelle sale.

L’Ufficio Multimedialità della Siae, che ha collaborato attivamente al monitoraggio e agli accertamenti amministrativi, ha confermato che i siti oggetto di indagine non erano autorizzati alla divulgazione.

Le indagini hanno consentito di accertare che queste piattaforme web permettevano di visionare (in streaming o in download) circa 400.000 files relativi a film (alcuni attualmente nelle sale cinematografiche), oltre che di un numero molto superiore di prodotti audio e software diffusi in violazione del diritto d’autore. Specificamente è stata impedita la visione in streaming di oltre 15.000 titoli di film.

Un grande colpo dunque per tutti i parassiti della rete. La Società Italiana Autori Editori ha stimato si sia trattato di uno dei più importanti sequestri al mondo e certamente il più rilevante in ambito europeo. La maggior parte dei server delle piattaforme non autorizzate erano ubicati ai quattro angoli del globo nei più disparati Paesi (Australia, Usa, Belize, Cina, Russia, Moldavia, Romania, Olanda, Svizzera, Francia e domini in Usa, Seychelles, India, Australia, Svizzera, Panama, Regno Unito, Germania) e – come spesso accade – i domini erano ospitati in altri contesti ancora – definiti “paradisi web” – dove le normative in materia di pirateria sono molto meno restrittive.

Tutto questo ha ovviamente determinato complicazioni e problemi tecnici per la Polizia Postale, che ha comunque abilmente attivato un blocco dei Dns affinché questi domini non siano più raggiungibili dal territorio italiano (è stato costruito quel che si chiama una sorta di “muro invisibile”). Tra i siti incriminati emergono nomi certamente noti a chi pratica pirateria: nowvideo.com, videopremium.net, bitshare.com, cyberlocker.ch, nowdowload.co, eccetera.

Da segnalare anche che, sebbene la visione o il download dei film e di altro materiale fosse gratuito per il fruitore finale, i gestori di questi siti guadagnano dalla pubblicità, quantificabile intorno agli 90.000 dollari Usa annui per ogni sito.

Il danno apportato dalla pirateria all’industria creativa viene stimato da Siae (non viene però citata la fonte di queste quantificazioni, nella dichiarazione di Vito Alfano, Direttore dei Servizi Antipirateria della Siae, ma verosimilmente si tratta delle solite controverse valutazioni della Tara Consulting) nell’ordine di 1,5 miliardi di euro nell’arco di tre anni – di cui 800 milioni al settore cinematografico e 700 milioni a quello musicale – cui si aggiungono ulteriori 1,4 miliardi di euro per quanto riguarda il software. Complessivamente, si tratterebbe dunque di circa 3 miliardi di euro di mancati ricavi, un deficit che rischia di produrre, nel breve periodo, ovvero nel prossimo triennio, la perdita di più di 20mila posti di lavoro, soltanto nel mercato italiano. Dati su cui soffermarsi a riflettere (al di là di ogni possibile dubbio metodologico su queste quantificazioni). Purtroppo, come più volte ribadito su queste colonne, si continua a registrare la diffusa carenza di coscienza del danno provocato, da parte di chi scarica (e, ci piace sottolineare, non si tratta solo dei target più giovani!), ed ancor più la mancata consapevolezza del fatto che, se tutti agissero nella stessa maniera (copia tu che copio anch’io…), nel medio periodo si andrebbero ad esaurire i prodotti “da scaricare”, perché le industrie dei contenuti – audiovisivi o musicali – non avrebbero più le risorse necessarie da reinvestire nella produzione di nuove opere. Tema caldo dunque sul quale è indispensabile un intervento, in primis normativo, urgente e radicale.

Che la situazione italiana sia grave è confermato da ogni osservatore internazionale. E certo non basta la pur utile attività della Fapav, Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali (nuova denominazione della precedente Federazione Anti-Pirateria Audiovisiva). Peraltro, l’ultima notizia sul rinnovato sito web della Fapav risale al 16 aprile 2013, e non c’è traccia della notizia qui segnalata: un sintomo di un qual certo ritardo di “intervento”, anche sulla notizia, della Federazione…

L’Autorità italiana per le Garanzie nelle Comunicazioni, Agcom, ha annunciato nei giorni scorsi che tornerà a breve sul diritto d’autore online, del quale si comincerà a discutere a partire dal prossimo 24 maggio con un workshop, a Roma, al quale saranno presenti esperti nazionali e internazionali.

 

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 27 aprile 2013

 

 

 

 

Un endless game: Google “vs” editori della carta stampata. Parte terza: entra in gioco il Portogallo

Prosegue ormai da alcuni mesi la battaglia degli editori europei “contro” Google, che rappresenta senza dubbio l’incarnazione del “nuovo aggregatore” che rischia di degenerare in agente parassitario dell’industria mediale e culturale.

Ricordiamo che il periodo è particolarmente sfavorevole per gli editori di giornali e riviste in carta stampata… da una parte, la crisi dell’Eurozona che ha determinato una contrazione dei consumi (e quindi anche dell’acquisto dei giornali), dall’altro il passaggio epocale – talvolta drammatico – dalla carta al web. Si stima che nel 2012 abbiano perso il lavoro, in Usa, circa un terzo dei giornalisti della carta stampata.

E’ così che già dalla fine del 2012 gli editori (le loro associazioni) di alcuni tra i principali Paesi europei hanno fatto blocco contro il gigante della rete Google che, senza dar loro alcuna remunerazione, indicizzava i loro articoli.

Il primo Paese a raggiungere un traguardo in questa battaglia è stata la Francia che – ricordiamo – ha firmato lo scorso febbraio un accordo – definito “storico” – con “Big G”, ottenendo un fondo di 60 milioni di euro per contribuire alla transizione al digitale dell’editoria cartacea transalpina (poca cosa rispetto alle aspettative iniziali, ma comunque un riconoscimento del senso della battaglia).

Anche la Germania si era mossa proattivamente e agli inizi di marzo 2013 la proposta di legge nota col nome di “Google Tax”, avviata prima dell’estate, ha ricevuto l’approvazione (dopo quella del Bundestag) anche dell’Alta Camera tedesca (il Bundesrat). L’effettiva entrata in vigore della legge implicherebbe una remunerazione per l’editoria tedesca, da parte di Google, per gli articoli indicizzati sul servizio Google News (anche se sono stati successivamente esclusi dal pagamento gli “snippets” – frammenti – e i link). La regolamentazione della nuova legge è ancora oggetto di discussioni e trattative, ma senza dubbio si tratta di un risultato ben concreto.

L’editoria portoghese intanto sta attraversando la peggiore recessione degli ultimi 50 anni. E, probabilmente incoraggiata dai “precedenti” di Francia e Germania (la situazione tedesca è appunto in divenire), attraverso la Confederação Portuguesa dos Meios de Comunicação Social (Cpmcs) – la più grande e rappresentativa associazione di media portoghesi – ha deciso di andare anch’essa a bussare con decisione alle casse di “Big G”. E’ così che Alberico Fernandes, Presidente della confederazione lusitana dei mass-media, ha chiesto un incontro urgente con i leader del motore di ricerca di Mountain View. La richiesta avanzata dalla Confederazione s’è concretizzata, come prevedibile, in una remunerazione economica per l’indicizzazione degli articoli su Google News. Dal canto suo, Google ha fatto “orecchie da mercante”, anche se, come era già accaduto in Francia, ha fornito ai media portoghesi della Cpmcs piena disponibilità a cooperare per rendere più redditizi i loro contenuti, offrendogli quindi una boccata d’ossigeno in un momento di particolare criticità del settore: Google come facilitatore dei nuovi modelli di business: il terribile “parassita” che diviene benevolente “angel capitalist”?! Nei mesi scorsi, infatti, oltre a tagli e licenziamenti, molti editori portoghesi sono stati costretti alla chiusura e al fallimento. I “sopravvissuti” continuano quotidianamente a lottare contro il calo delle vendite che si associa al crollo degli introiti pubblicitari, in un terribile circolo vizioso. In questo scenario “apocalittico”, l’unico settore in crescita rimane – appunto – quello dell’editoria online, anche da un punto di vista pubblicitario. È così che l’editoria portoghese ha deciso di unirsi al coro delle associazioni di editori di molti Paesi europei per ottenere una remunerazione su quel fronte.

Nonostante Google abbia ribadito la propria intenzione a proseguire nelle negoziazioni, il primo incontro tra le parti si è concluso con una “fumata nera”, ma non si escludono futuri ripensamenti.

Alberico Fernandes ha spiegato all’agenzia stampa Reuters che i responsabili dell’area iberico-portoghese di Google, nella prima riunione (tenutasi a fine marzo), hanno respinto qualsiasi richiesta monetaria. Il Presidente della Cpmcs ha ribadito, in modo chiaro ed inequivocabile: “La nostra posizione non cambia: i contenuti che finiscono su Google News devono essere pagati”.

Decisamente più netto e radicale l’intervento di Francisco Pinto Belsemao, esponente di riferimento dei media portoghesi (a capo del gruppo lusitano Impresa), nonché Presidente dello European Publishers Council, che ha denunciato che i motori di ricerca sul web si appropriano, indebitamente, del 90 % dei profitti derivanti dalla pubblicità online, lasciando agli altri mezzi – che però ricoprono un ruolo determinante nella produzione dei contenuti che vengono veicolati – solo le briciole. Ha quindi aggiunto che i contenuti prodotti dai media (tradizionali) rappresentano una parte rilevante della fonte di quelle entrate, esortando quindi a porre fine alla “rapina” in atto.

Le parti coinvolte, ovvero il Cpmcs e Google, nonostante gli iniziali attriti, hanno comunque programmato di tenere ulteriori riunioni. Non resta quindi che attendere gli esiti del negoziato.

(a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 4 aprile 2013

Google ancora in piena… turbolenza

Ancora una volta, il gigante della rete Google è al centro di polemiche ed attacchi, per così dire policentrici…

Da una parte, ancora una volta, si riapre la querelle sul pagamento delle notizie indicizzate attraverso Google News, dall’altra 11 piccole aziende presenti in rete invocano un più incisivo intervento della Commissione Europea per limitare il potere di Google nel search.

Andiamo con ordine.

In merito al problema del pagamento per l’indicizzazione delle notizie, Google potrebbe incassare un altro duro colpo…

Lo scorso venerdì 22 marzo il Bundesrat tedesco (la cosiddetta “Alta Camera”, rappresentativa delle autonomie locali, ovvero i Länder) ha dato l’ok sulla proposta di legge ben nota come “Google Tax” (o anche “Link Tax”) sorta di “addenda” alla legge vigente in materia di copyright, che era stata approvata al Bundestag lo scorso 1° marzo (per un approfondimento vedi“Il Bundestag tedesco ha votato la Google Tax (“copyright ancillare”), ma non è ancora legge” del 4 marzo 2013).

I fautori di questa norma non possono però ancora cantar vittoria, perché, per completare l’iter, mancano ancora la firma del Governo federale e del Presidente. E l’approvazione definitiva del testo potrebbe essere soggetta ad una ulteriore dilazione temporale.. dopo l’approvazione, da parte del Bundestag, del progetto di legge, la Commissione Europea ha espresso la volontà di verificare se, in base a quanto previsto dai Trattati dell’Unione, il governo tedesco fosse tenuto ad informare gli organi comunitari al fine di coordinare una legislazione su base sia nazionale che europea. La Commissione sta quindi analizzando se la proposta deve essere presentata agli altri Stati membri prima dell’adozione. In  caso positivo, l’iter per la firma potrebbe subire uno slittamento fino a 18 mesi, visto che anche gli altri Stati membri avrebbero la possibilità di esprimere commenti e pareri sul provvedimento. E, inevitabilmente, il testo subirebbe delle modifiche. Restano quindi sospesi molti punti nonostante quest’altro passo avanti, che ha portato comunque ad un ulteriore “edulcoramento” del testo originale. Il testo attuale prevede che Google paghi gli editori per la pubblicazione, ovvero per l’indicizzazione delle intere notizie, dalle quali restano però esclusi gli “snippets”, ovvero piccole parti di testo, titoli et similia. Il testo originale era molto più severo e prevedeva che i motori di ricerca potessero pubblicare “stralci” dei giornali online solo dietro pagamento delle royalties o comunque dietro autorizzazione degli editori.

Si ricorda brevemente che la proposta di legge era stata presentata lo scorso agosto dalla coalizione di governo che sostiene la Cancelliera Angela Merkel – ovvero i cristiano-democratici della Cdu e i liberal-democratici della Fdp – e puntava ad una redistribuzione equa degli introiti che Google realizzava attraverso la pubblicità sfruttando contenuti di altri. La stessa battaglia, portata avanti dagli editori tedeschi, era peraltro ben condivisa dalla Francia – che è però addivenuta ad un accordo che poggia su altre basi (per un approfondimento vedi “Le “rassegne stampa” vampirizzate: in Francia, siglato accordo “storico” tra Google e l’Eliseo” del 4 febbraio 2013) – e dall’associazione degli editori di giornali italiani appartenenti alla Fieg – Federazione italiana editori di giornali, che non sembrano però aver raggiunto finora alcun successo. Si segnala peraltro che recenti notizie fanno presupporre anche in Regno Unito un accordo tra il governo, gli editori e “Big G” sulla falsariga di quello francese.

Quanto alla seconda vicenda, si è assistito nei giorni scorsi ad una levata di scudi di 11 “player” (imprese, associazioni o federazioni), europei ed americani, contro Google, accusato, ancora una volta, di abuso di posizione dominante nel mercato della ricerca online.

Gli undici “attori” – Foundem, Bdvz, ovvero la Federazione tedesca degli editori di giornali, Euro-Cities, Expedia, HotMaps, Streetmap, TripAdvisor, Twenga, Vdz, ovvero la Federazione tedesca degli editori di riviste, la Vtf, ovvero l’Associazione tedesca degli editori indipendenti e la Visual Meta –  in una lettera indirizzata al Commissario europeo per la Concorrenza, Joaquin Almunia, hanno richiesto un intervento incisivo contro Google, accusato di manipolare, in proprio favore, i risultati delle ricerche.

I firmatari hanno denunciato che Google, attraverso questo meccanismo di manipolazione, promuove i propri servizi e marginalizza o addirittura esclude i servizi dei competitor. Hanno quindi domandano quindi con veemenza al Commissario di intervenire (anche perché, si legge tra le righe, sono sfiduciati che rimedi effettivi possano scaturire dall’accordo tra Google e la Ue, che comunque sembra rimandato a dopo l’estate) affinchè Google utilizzi gli stessi standard per tutti, ed in tal senso hanno chiesto impegni seri ed espliciti per sanare questa situazione. Si leggeo “Google must be even-handed. It must hold all services, including its own, to exactly the same standards, using exactly the same crawling, indexing, ranking, display, and penalty algorithms” (Google deve essere costretta ad uniformarsi a principi di parità di trattamento, “gestendo i servizi, compresi i suoi, esattamente con gli stessi standard, utilizzando esattamente gli stessi algoritmi di indicizzazione, ranking, display, visualizzazione e penalizzazione).

Nei mesi scorsi Google ha provato ad avanzare proposte che potessero essere ben accette ai regolatori dell’Unione al fine di convincerli a chiudere il caso. In verità le proposte avanzate da Google non si conoscono, non essendo state rese note ma, secondo indiscrezioni dell’agenzia Reuters, Google si sarebbe offerta di etichettare i propri servizi nei risultati del search in modo da differenziarli da quelli dei competitor, ed avrebbe inoltre proposto di imporre meno restrizioni alle agenzie pubblicitarie”. La vicenda non era però stata chiusa. Si ricorda peraltro che la questione relativa al presunto abuso di posizione dominante di Google rimane aperta non soltanto all’interno dell’Ue, ma anche in America. In caso di verdetto positivo, ovvero in caso di acclarato abuso di posizione dominante, il motore di ricerca più famoso del mondo sarebbe costretto a pagare una multa di 5 miliardi di dollari o una cifra pari al 10% del proprio fatturato (il che è all’incirca equivalente, avendo Google fatturato oltre 50 miliardi di dollari nel 2012).

A questo punto non resta che attendere che la Commissione si pronunci.

 

(a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E.) 26 marzo 2013

Google e la privacy violata attraverso Street View

Attaccato su più fronti, “Big G” resiste, ma incassa un altro colpo. Molte sono infatti negli ultimi mesi le vicende che coinvolgono il gigante della rete…. Dall’evasione fiscale all’indicizzazione degli articoli di giornali – che hanno portato a recenti, seppur differenti, soluzioni in Francia e Germania (per un approfondimento vedi  i post “Le “rassegne stampa” vampirizzate: in Francia, siglato accordo “storico” tra Google e l’Eliseo” del 4 febbraio e “Il Bundestag tedesco ha votato la Google Tax (“copyright ancillare”), ma non è ancora legge” del 4 marzo) –, all’indagine, chiusa ad inizio anno dalla Federal Trade Commission sull’abuso di posizione dominante, fino alla questione al momento più discussa: la tutela dei dati personali.

Il problema coinvolge questa volta “Big G” per il servizio “Street View” per un caso che risale al 2010.

Come molti sanno il servizio è un “confort” ulteriore a Google Maps che consente di vedere, per così dire “dal vivo” (e non solo in una piantina modello “Tutto città” in chiave post-moderna) strade, piazze e vicoletti di moltissime località. E fin qui… tutto bene.

Sembra però esser emerso un aspetto inquietante della vicenda. Mentre le auto con telecamera di Google percorrevano le città statunitensi per fotografare, riprendere ed aggiornare le mappature, intercettando i segnali wi-fi presenti in molte case, siano riuscite ad impadronirsi di password e dati personali di milioni di utenti in base ad una pratica che viene definita del “wardriving” (che consiste nel trovare un access point (Ap) e registrarne la posizione. Infrangendo però le scarse misure di sicurezza tipiche di queste reti, è possibile accedere ai file personali).

Il che si traduce in una violazione della privacy su larga scala, perpetrata per anni, ai danni di milioni di utenti.

Dopo aver inizialmente negato, e successivamente accusato un ingegnere dello staff (impazzito), alla fine il gigante di Mountain View si è dovuto arrendere all’evidenza ed ammettere le proprie colpe di fronte ad una disputa legale promossa da ben 38 Stati Usa per proteggere la privacy dei cittadini.

Come risarcimento Google è stata condannata a pagare, per il danno arrecato, 7 milioni di dollari (circa 5 milioni di euro), cifra ridicola se si pensa al giro d’affari di “Big G”, che nel 2012 ha superato, per fatturato, i 50 miliardi di dollari (36 miliardi di euro)!!!

Ma, come sostiene il procuratore generale del Connecticut, l’importanza del patteggiamento risiede altrove. Google sarà obbligata, per la prima volta, a sottostare ad alcuni doveri, ovvero dovrà impegnarsi a controllare i propri dipendenti affinché non violino la privacy degli utenti e dovrà inoltre investire risorse per informare il pubblico e suggerire ai cittadini le migliori strategie per proteggere la riservatezza delle proprie informazioni.

Google dovrà quindi presentare, entro 6 mesi, un piano dettagliato sulle regole che andrà ad applicare per la tutela della privacy degli utenti, che poi dovranno essere divulgate attraverso campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e con un video informativo su YouTube.

Da un punto di vista simbolico si tratta certamente di una brutta sconfitta per Google.

Quali saranno le prossime vicende che vedranno coinvolto il “gigante G”? Per ora, in Italia, ci si limita ad attendere un segnale da parte degli editori di giornali, che pure si erano mossi, assieme a francesi e tedeschi, per ottenere una remunerazione all’indicizzazione degli articoli attraverso Google News e che, dopo i risultati ottenuti dai confinanti, si immaginava tornassero alla carica.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva  – E. ) 15 marzo 2013

Il Bundestag tedesco ha votato la Google Tax (“copyright ancillare”), ma non è ancora legge

Lo scorso venerdì, 1° marzo, il Bundestag tedesco ha approvato la così detta “Google Tax” (detta anche “Link Tax”), ovvero una sorta di “addenda” alla legge vigente in materia di copyright, anche se in una forma un po’ annacquata, come sostengono alcuni analisti. Alcuni osservatori sono arrivati a sostenere che, di fatto, la proposta di legge sia stata sostanzialmente bocciata, dato che è stata assai edulcorata.

La mozione, voluta e votata dalla maggioranza di centro-destra, con qualche defezione dei deputati più giovani, è passata con 294 voti a favore e 243 contro, ma questo non significa che diventerà effettiva, cioè legge dello Stato: in effetti, prima di diventare legge, la “Google Tax” necessita dell’approvazione del Bundesrat (la cosiddetta “Camera Alta” del Parlamento tedesco), dove l’opposizione di centro-sinistra detiene più voti della coalizione al governo. La seduta è prevista per il prossimo 22 marzo. L’iniziativa è sostenuta dal governo di Angela Merkel, ovvero dai cristiano-democratici della Cdu e dai liberaldemocratici della Fdp.

Si ricorda che il sistema tedesco ha qualche somiglianza con il bicameralismo italiano. In Italia, però, il Senato ha una funzione di riflessione ulteriore rispetto al processo decisionale della Camera, mentre in Germania la funzione della seconda camera è rappresentativa delle autonomie locali (i Länder).

La discussione sulla proposta di legge sembra finora essersi focalizzata su quelli che vengono definiti “snippets” (letteralmente “ritagli”), ovvero brevi parti di testo, titoli  o parti introduttive di una notizia. È stato infatti deciso che gli aggregatori – come Google – possano utilizzare, gratuitamente, questi brevi trafiletti… ma la lunghezza degli “snippets” non è stata definita. Dovrebbero essere brevi come un titolo di un giornale, ma non esiste un format fisso (per esempio, come per i 140 caratteri di Twitter).

Naturalmente, sono in molti a sostenere che questo ulteriore passaggio parlamentare potrebbe ridurre l’efficacia alla normativa, anche qualora dovesse divenire legge.

Va ricordato che Google non pubblica messaggi pubblicitari sulle pagine di Google News, e quindi non si ritiene in obbligo di pagare i diritti per gli articoli giornalistici che indicizza. D’altronde, secondo Mountain View, la pubblicazione del “content” giornalistico su Google News determina effetti positivi per gli editori tradizionali, perché contribuisce ad aumentare il traffico sui siti “online” dei giornali.

Si ricorda peraltro che, nei messi scorsi, Google aveva organizzato una importante campagna online (“Difendi la tua rete. Continua a trovare quello che cerchi”: www.google.de/DeinNetz), per bloccare l’approvazione della legge… obiettivo, a questo punto, in parte conseguito.

A seguito dell’approvazione, il portavoce del motore di ricerca nel Paese, Ralf Bremer, ha dichiarato, con cauta soddisfazione: “Con il voto odierno è stato arrestato il copyright ancillare nella sua forma più dannosa. In ogni caso la scelta migliore per la Germania sarebbe quella di desistere da una nuova normativa, perché essa danneggia l’innovazione, in particolar modo per le start-up”.

Una tesi non nuova, secondo la quale, “nel nome di internet”, si giustifica quasi qualsiasi comportamento.

Tuttavia, l’associazione di editori di giornali Bdvz (acronimo che sta per Federazione degli Editori di Giornali Tedeschi, associazione che rappresenta quasi 300 quotidiani tedeschi e 13 settimanali), facendo buon viso a cattivo gioco, ha replicato che “la legge  consentirà ai portali di stabilire le condizioni in base alle quali i loro contenuti verranno utilizzati dai motori di ricerca e dagli aggregatori di notizie per fini commerciali.”

Naturalmente a quanti ribadiscono che l’indicizzazione di notizie è un modo, a costo zero, per Google, di produrre ricavi, “Big G” ha risposto che costituisce una situazione “win-win” per il consumatore, che ha più facile accesso alle informazioni. Anche questa è una gran bella tesi, affetta da overdose di ottimismo.

Riportiamo qui a seguito alcune delle tesi degli editori tedeschi (tratte da un pamphlet Bdvz diffuso in questi giorni): “Ogni editore è evidentemente contento del traffico online sui propri siti web proveniente dall’esterno (…).  Molti motori di ricerca e gli aggregatori sono però di fatto divenuti editori, editori concorrenti.  Essi forniscono ai lettori ritagli di stampa, talvolta il testo completo degli articoli o addirittura copie complete delle testate. Il danno per gli editori è evidente: un testo che viene letto su un sito non gestito dall’editore perde valore, non può essere più venduto dall’editore o essere supportato con la pubblicità gestita dall’editore. Anche i ritagli di stampa con brevi estratti da articoli (“snippet”) finiscono per danneggiare l’editore. (…) Il traffico proveniente da motori di ricerca e aggregatori è positivo quando si passa “attraverso” i motori” (cioè quando il lettore, stimolato da un titolo, va a finire sul sito dell’editore).

La discussione intorno alla “Google Tax” ha riportato in campo la questione, argomento di accesi dibattiti in molti altri Paesi oltre i confini tedeschi, del pagamento degli editori per l’indicizzazione delle notizie da parte dei motori di ricerca – accusati di ottenere ricavi attraverso l’utilizzo di contenuti prodotti da altri.

Gli esiti della controversia – come si osserva – possono essere differenti. Si ricorda che lo scorso mese, dopo aver ricevuto attacchi simili in Francia e Belgio, Google ha concluso un “accordo storico” con la Francia (per un approfondimento si veda, su questo stesso blog, il post “Le “rassegne stampa” vampirizzate: in Francia, siglato accordo “storico” tra Google e l’Eliseo” del 4 febbraio 2013) ed ha siglato un “accordo di partenariato” con la stampa belga dopo una battaglia durata 6 anni. Si ricorda però, dall’altra parte, il caso del Brasile, Paese in cui non  è stata trovata alcuna mediazione. Poco più di un anno fa infatti, il 90 % degli editori ha deciso di uscire dal circuito di Google News in assenza di adeguata remunerazione…

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 4 marzo 2013

Fieg: il “diritto d’autore” nell’agenda del Governo che verrà

Le elezioni politiche sono imminenti, e, senza offendere uno schieramento o l’altro, va osservato come poca sia l’attenzione dedicata dai partiti e dalle coalizioni alla “cultura”, intesa in senso lato, dai beni museali all’agenda digitale.

Una qualche attenzione è stata manifestata da due testate giornalistiche: “Il Sole 24 Ore”, che sviluppa una sua battaglia, a partire dal “manifesto” pubblicato il 19 febbraio 2012, ed il “Corriere della Sera”, che sembra quasi aver seguito la via tracciata dal concorrente confindustriale, pubblicando un appello a firma di Ernesto Galli della Loggia e Roberto Esposito, il 26 gennaio 2013, per la creazione di un “nuovo” Ministero per la Cultura…

Da segnalare anche altre recenti iniziative di sensibilizzazione, come “Ripartire dalla cultura”, promossa da Federculture, Aib, Icom, Italia Nostra, Legambiente, Fai ed Anci, e come “Abbracciamo la cultura”, promossa da una coalizione cui hanno aderito oltre cento soggetti, tra cui Agenquadrim, Aib (Associazione Italiana Biblioteche), Ana (Associazione Nazionale Archeologi), Arci, Assotecnici (Associazione Nazionale dei Tecnici per la tutela dei beni culturali, ambientali, paesaggistici), Auser, Cgil, Cia (Confederazione Italiana Archeologi), Federagit (Guide Turistiche Confesercenti), FiteL (Federazione Italiana Tempo Libero), Iac (Italian Association of Conservation Scientists), Iaml Italia (Associazione Italiana delle Biblioteche, Archivi, Centri di documentazione musicali), Inu (Istituto Nazionale d’Urbanistica), Legambiente… E potremmo ricordare l’appello promosso da Agis contro gli ulteriori “tagli” al Fondo Unico per lo Spettacolo (registrati proprio durante queste settimane di campagna elettorale), o le varie lamentazioni sui ritardi nel concreto avvio dell’Agenzia per l’Italia Digitale (istituita con il “decreto sviluppo” del giugno 2012, ma ancora non operativa)…

In tutto questo scenario, depresso e deprimente (tante le aspettative delle molte anime del sistema culturale nazionale, pochi gli impegni concreti assunti dai politici), modesta appare l’attenzione politica nei confronti delle pur strategiche tematiche del diritto d’autore. Va anche segnalato che la stessa “battaglia” contro il “new deal” della Siae (il 1° marzo dovrebbero tenersi le elezioni secondo il nuovo statuto, che prevede una democrazia…“plutocratica” – chi riceve di più dalla Siae, più voti ha… – mentre pende un ricorso presso il Tar del Lazio, ed il 20 febbraio si saprà se verrà concessa una sospensiva al processo elettorale) non sembra aver appassionato né gli operatori del settore né la stampa. Né è entrato nelle “agende” dei vari candidati.

In questo scenario, crediamo assuma una sua discreta importanza la “lettera aperta” che la Federazione Italiana Editori Giornali ha fatto pubblicare, il 13 febbraio 2013, su un paio di quotidiani nazionali, come “avviso a pagamento”: la presa di posizione della Fieg affronta anzitutto una macro-questione come la riforma del settore, propone una logica molto chiara sintetizzabile nello slogan “no a sovvenzioni, sì a incentivi fiscali”, affronta questioni come la distribuzione, il lavoro, ma una delle questioni nodali sottoposte all’attenzione del “governo che verrà” è proprio il diritto d’autore.

Si legge nel documento Fieg: “Diritto d’autore. Le aziende editrici italiane hanno razionalizzato i costi, per riacquisire efficienza e frenare il declino della redditività, ed hanno diversificato le loro attività, confrontandosi con un ambiente sempre più multimediale. Ma non hanno mai trovato nelle politiche pubbliche sufficiente interesse per la protezione di chi produce contenuti editoriali di qualità e per la salvaguardia di tutte quelle risorse – economiche, umane e tecniche – indispensabili alla loro realizzazione e, più in generale, alla sopravvivenza di una informazione libera e credibile. Libertà di stampa e pluralismo sono possibili solo con imprese editrici autonome ed economicamente sane, che operino in un contesto di regole di mercato. Rafforzare l’effettività della tutela del diritto d’autore in Internet rispetto ai molteplici fenomeni di sfruttamento parassitario dei contenuti editoriali significa rafforzare le imprese stesse, la loro economicità e la loro capacità di sviluppare e sperimentare nuove forme di comunicazione multimediale”.

Si tratta di tesi sintetiche, chiare, consapevoli. Nella disamina complessiva della situazione di criticità del comparto dell’editoria quotidiana, viene dato il giusto risalto al diritto d’autore ed all’annoso problema della pirateria digitale. In una situazione di sempre maggiore scarsità di risorse (peraltro anche i contributi pubblici sono in continuo calo), un sistema di tutele per i produttori di contenuti – siano essi informazioni piuttosto che audiovisivi o musica – è più che mai urgente e fondamentale, per salvaguardare le risorse necessarie alla produzione stessa dei contenuti, come enfatizza la Fieg. Ci sentiamo sintonici rispetto a quanto richiesto dalla Fieg al prossimo Governo, ed in linea con quanto ribadito più volte anche su queste colonne. Ancor più, ribadiamo, in un periodo di profonda crisi economica qual è l’attuale. La qualità dell’informazione e la tutela del pluralismo sono valori fondamentali per un Paese che voglia definirsi democratico. Ma la tutela di questi capisaldi passa anche attraverso un sistema di “garanzie” e tutele di coloro che profondono tempo, energie e risorse economiche nella loro produzione.

Un intervento sul diritto d’autore – tante volte rimandato – da parte dell’Agcom è oggi particolarmente urgente. Questa legittima richiesta sembra esser stata colta dai membri dell’Autorità (o, almeno, da alcuni di loro), che assicurano un intervento a breve. Anche in un recente convegno, tenutosi il 5 febbraio scorso alla Luiss “Guido Carli” di Roma, il Presidente Agcom, Angelo Marcello Cardani, ha espresso l’intenzione dell’Autorità, anche in assenza di interventi legislativi, di riaprire il dossier sul diritto d’autore. Stessa tesi era stata sostenuta nei mesi scorsi dal Commissario Maurizio Dècina, mentre il Commissario Antonio Preto, su “la Repubblica” del 12 dicembre 2012, aveva invece sostenuto “La questione entra ufficialmente nel nostro piano di lavoro, ma non sprecheremo energie e non faremo fughe in avanti. Il nostro primo atto sarà appellarci al Parlamento che sarà eletto a febbraio”. Temiamo che se l’Agcom vorrà attendere il Parlamento ed il nuovo Esecutivo, la questione slitterà di molti mesi, e quindi va auspicato un intervento dell’Autorità.

A questa “lettera aperta” della Fieg, si è aggiunto, a distanza di un paio di giorni, l’appello dell’Fnsi, Federazione Nazionale della Stampa Italiana. La situazione di crisi generale che si ripercuote sul comparto editoriale e sulla stampa quotidiana e periodica ha portato giornalisti ed editori a fare fronte comune, per salvaguardare questo comparto sistema dell’informazione che, nonostante le nuove tecnologie, offre informazioni ad oltre 20 milioni di italiani ogni giorno. La stampa “scritta” è viva e vivace, il supporto cartaceo non è un ricordo del passato. Fieg, come si legge nella “lettera aperta”, oltre ad un intervento in materia di diritto d’autore, richiede un maggiore impegno e soprattutto un maggiore coordinamento negli aiuti pubblici al settore. La Fieg rifiuta gli interventi a pioggia e “spot”, ma invoca un sistema di tutela e di sostegni coordinati e continuativi. Non sorprende l’appello, soprattutto in questo periodo in cui particolarmente evidenti sono le difficoltà di gruppi di primo livello nell’editoria nazionale, come Rcs e Mondadori.

Va ricordato che solo pochi giorni fa in Francia è stato firmato quello che lo stesso Presidente Hollande ha definito “accordo storico” tra una ampia fetta dell’editoria d’Oltralpe e Google France (per un approfondimento vedi post del 4 febbraio scorso “Le rassegne stampa vampirizzate: in Francia, siglato accordo “storico” tra Google e l’Eliseo”). Pur rimanendo scettici sull’effettiva portata storica dell’accordo, avevamo previsto che la situazione francese avrebbe determinato “effetti domino” anche in altri Paesi impegnati nelle stesse battaglie. L’accordo francese ha infatti provocato aspettative anche in altri Paesi, dove editori e giornalisti vogliono veder riconosciuti i propri diritti ed il proprio lavoro. E quindi, come prevedibile, anche in Italia, alle altre richieste, si aggiunge quella di un sistema di aiuti che tenga conto della crisi economica, e degli investimenti necessari alla trasformazione tecnologica.

Da segnalare infine che in un’altra “lettera aperta”, pubblicata oggi 18 febbraio sul “Corriere della Sera”, i presidenti dell’Anica e dell’Aie lamentano anche loro la assenza delle parole stesse “industrie culturali” nei programmi delle varie parti politiche (l’articolo si intitola a chiare lettere “Una politica industriale per la cultura”). Rispetto alle questioni generali, ne identificano una: l’istruzione. Riccardo Tozzi e Marco Polillo ritengono prioritario “introdurre la frequentazione, la conoscenza e l’uso di oggetti culturali (libro, musica, cinema)” nella scuola italiana, altrimenti “non aumenterà mai il ‘circolo dei cinque milioni’: tanti sono (meno del 10 % della popolazione) gli italiani che in un anno hanno un’abitudine alla fruizione dei prodotti culturali”. Ci consentano Tozzi e Polillo di obiettare che forse queste statistiche (la fonte non viene citata) sono ingannevoli: in verità, gli italiani che fruiscono di musica ed audiovisivo (per quanto riguarda i libri, il discorso è diverso) sono di più, ma il problema è che fruiscono di prodotti “piratati”. Se c’è una “questione generale” su cui concentrare l’attenzione del “policy maker” futuro è la lotta alla pirateria e la stimolazione di modelli di fruizione (e di business) che non portino al depauperamento complessivo del sistema culturale nazionale.

( a cura della redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 18 febbraio 2013

Chiuso Downloadzoneforum.net, il più grande “sito pirata” italiano

Grande delusione per 1,2 milione di iscritti, piccola vittoria per le industrie creative. Crediamo che la notizia non possa non essere considerata una piccola ma significativa vittoria non per le industrie creative soltanto, bensì per la “cultura” tout-court. Il 4 febbraio scorso, la Guardia di Finanza di Paderno Dugnano (in provincia di Milano), su ordine della Procura della Repubblica di Monza, ha sequestrato, e quindi oscurato, uno dei più importanti siti di filesharing italiani (secondo alcuni osservatori, il più grande sito pirata attivo in Italia), dal quale sin dal 2008 era possibile scaricare abusivamente file musicali, audiovisivi, videogames, software e tanto altro. Il sito si caratterizzava per una infrastruttura tecnologica molto evoluta e ben articolata.

Accedendo a quell’indirizzo web, appare ora in bella mostra un avviso, con il logotipo della Repubblica Italia e a firma della Tenenza Paderno Dugnano (Milano), Nucleo Mobile, della Guardia di Finanza, che recita: “Sito sottoposto a sequestro per violazione dell’art. 171-ter c. 2 lett. a-bis) Legge n. 633 / 1941 in esecuzione del provvedimento dell’Autorità Giudiziaria. Procedimento Penale nr. 688/13 R. G. N. R. Mod. 21 Noti pendente presso la Procura della Repubblica c/o Tribunale di Monza”. Una parte di questo testo viene proposto anche in traduzione in inglese.

La chiusura di Downloadzoneforum.net rappresenta un altro importante passo avanti per la lotta alla contraffazione e per la protezione di materiali coperti da copyright. Il portale vantava oltre un milione e duecentomila utenti registrati, e più di 50mila opere illegali in “catalogo”, tra musica, film, videogiochi, software e prodotti editoriali. Soltanto nel corso del 2012, ha ospitato oltre 20 milioni di visitatori, con circa 130 milioni di pagine visualizzate.

Appare quasi incredibile (e deprimente) apprendere che tra i file scaricati con maggiore frequenza ci fosse la traccia “Italia loves Emilia”, incisa per sostenere le popolazioni  colpite dal terremoto. Ne sono state scaricate oltre mille copie nell’arco di un paio di mesi.

L’operazione, denominata “Divina Commedia”, che si è conclusa con la chiusura del portale illegale (il cui server di supporto era nei Paesi Bassi), era stata avviata nella prima metà del 2012, ed è stata condotta dalle Fiamme Gialle, con la collaborazione della Federazione contro la pirateria musicale e multimediale (Fpm), la Federazione per la tutela dei contenuti audiovisivi e multimediali (Fapav) e l’Associazione editori sviluppatori videogiochi italiani (Aesvi), portando alla denuncia di due degli amministratori del sito. Ancora in corso le indagini, volte ad accertare i guadagni illeciti ed eventuali altri soggetti coinvolti.

Grande è stato il plauso della Federazione per l’Industria musicale italiana – Fimi, il cui Presidente, Enzo Mazza ha dichiarato: “è fondamentale, ai fini della tutela del diritto d’autore, riuscire a colpire le piattaforme che lucrano e creano le condizioni per agire illegalmente. L’industria musicale italiana, inoltre, si è dimostrata negli anni, pronta ad affrontare un’evoluzione importante ed è oggi capace di proporre un’offerta di fruizione della musica attraverso canali e tecnologie innovative, rispondendo così alle mutate esigenze dei consumatori”.

Va notato che, cercando Downloadzoneforum.net su Google, tra i primi risultati è in bella evidenza un sito, che si chiama Similar Site Search, che evidenzia “di seguito è riportato un elenco di 50 siti simili a Downloadzoneforum.net”. Ne elenchiamo alcuni: Yoouddl.com, dduniverse.net, nextube.org, adunanza.net, sharingfreelive.net…

Abbiamo anche letto quel che appare sul sito del “DownloadZoneForum Information Channel” ovvero http://downloadzoneforum.blogspot.it/, che si autodefinisce “pagina creata con lo scopo di informare gli utenti di downloadzoneforu sullo stato del sito”:

“Giovedì 7 febbraio 2013. Salve, sono Yondaime-k3, uno dei due admin che in questo momento sta affrontando un procedimento penale per aver condiviso file protetti dal diritto d’autore a scopo di lucro (?). Non siamo qui oggi però per affermare la nostra non colpevolezza, ma per fare un annuncio a chi, come me, non stava su downloadzone per scaricare, ma perché lo considerava una seconda casa piena di gente, con il quale discutere e confrontarsi, d’altronde DZ è sempre stata una grande famiglia! Oggi sono qui per chiedervi di restare in ascolto, perché a breve faremo un annuncio che per noi, e spero anche per voi, è importante. ovviamente non sarà riguardo ai download, stiamo cercando di rimettere insieme la community :) Vi aggiorneremo il prima possibile!”. Il 31 gennaio, lo stesso “admin” scriveva: “Download chiuso dalla finanza. Downloadzone è stato chiuso dalle autorità. Inutile chiedere cose inutili, i fatti sono questi. Ringraziamo tutti gli user, silver, upper e gold per affetto che ci avete dimostrato in tutti questi anni”.

Altrove, si legge un altro messaggio degli amministratori: “Certo che stiamo parlando seriamente. È morto per sempre. Dimenticatevelo”. Dopo i pressanti interrogativi degli utenti, gli amministratori di DownloadZone hanno consigliato l’immediata rimozione di tutti i “mi piace” dalla pagina Facebook dedicata al sito, dal momento che, si spiega, “2 admin (tra cui 1 ex admin) sono sotto custodia cautelare” e il sito è stato sottoposto a sequestro dal nucleo mobile della Guardia di Finanza di Paderno Dugnano (Milano). Facendo riferimento ai dati relativi al traffico web di Alexa, il 92 per cento dei visitatori del forum warez proviene dall’Italia, in particolare dalle città di Bergamo e Catania. Tra i vari cinguettii di condoglianze digitali, si apprende come due amministratori di DownloadZone sarebbero in attesa di processo dopo 6 anni di attività. “Hanno oscurato il sito e sequestrato il server, il mio PC e i miei hard disk”, ha raccontato uno degli admin su Facebook. (M.V.)”.

Si legge in rete, un altro messaggio: “Sono l’admin _Zoni_, a cui era intestato il server, ieri mattina alle 6.00 sono arrivati 4 finanzieri sotto casa mia, dopo 13 ore hanno sequestrato il mio pc e i miei hard disk, non mi hanno messo agli arresti domiciliari o altro. Detto questo, non ricordo i nick e non ho intenzione di andare a cercarmeli e quotare tutti, quindi rispondo in modo casuale. A differenza di altri siti, uno dei motivi per cui non ci hanno chiusi in passato è perché non ci abbiamo mai lucrato, volendo riempiendolo di pubblicità avremmo potuto guadagnarci 2-3mila euro alla settimana con tutte le visite che avevamo, invece non l’abbiamo mai fatto, i popup che avevamo coprivano a malapena i costi del server, sono stati molto rari i mesi in cui riuscivamo a guadagnarci qualcosa (100, 200 €). Poi, downloadzone non è mai stato rubato e non è nato su forumfree, è nato su altervista, prima eravamo su downloadzone.altervista.org, sito sequestrato anni fa, lo comandava yondaime cloud, ai tempi root admin, dopo 6 mesi dalla sua scomparsa, dopo che avevamo tirato avanti da soli (ai tempi ero supermod) per un anno il forum, e l’avevamo fatto crescere, ha deciso di lasciarci il database e di farci condurre dz sul nuovo dominio, downloadzoneforum.net. Peccato che dopo pochi mesi abbia rimesso online il vecchio database (che era corrotto) sul vecchio url, quello su altervista, riempiendolo di ad di google e di pubblicità, dopo quello ha cambiato layout del forum lasciando poche pagine, riempiendole ancora di più di ad, arrivando a guadagnare 300-400 euro al giorno, ovviamente dopo poche settimane la finanza ha chiuso il tutto. Noi abbiamo continuato, fino a ieri. mi sono dimenticato qualcosa, ma pazienza, un consiglio a tutti: avete un forum di download? Chiudetelo, arrivano a chiunque, non si riesce a sfuggire. Sono contento che a qualcuno dispiaccia, significa che nel mio piccolo sono riuscito a fare qualcosa che importi o sia importato a qualcuno, non mi interessa di quelli che sono contenti della chiusura, in ogni caso ringrazio tutti, io ho passato 6 anni bellissimi su dz e ho conosciuto gente che sento da anni e che continuerò a sentire, per il resto, sono disponibile per chiacchierare tranquillamente sul nostro forum di supporto, dove ovviamente non abbiamo nessun file in download”.

Un commento in rete: “Penso stiamo tutti a piangere lacrime napulitane per DownloadZone, per quanto mi riguarda era praticamente IL sito di download in Italia, con un archivio immenso. Un vero peccato che abbia chiuso, ma si sa che prima o poi ti beccano quando detieni dei server che reggono un “sistema” così ampio ed esteso”.

Un altro commento intercettati in rete: “Boh, in realtà ormai non lo usavo nemmeno più. Mi sono avvicinato molto ai torrent, che garantiscono una certa sicurezza e relativamente pochi rischi (quando scarichi un film è quel film, e non un clippino a contenuto sessualmente esplicito, tanto per capirci). Tra l’altro, ci si impiega relativamente meno tempo quando si hanno seed a sufficienza. Insomma, non una grande perdita… Soprattutto alla luce del fatto che ultimamente era più down che funzionante” (l’autore si firma Sad Aka Sad).

Noi… evitiamo commenti!

( a cura della redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 7 febbraio 2013

Le “rassegne stampa” vampirizzate: in Francia, siglato accordo “storico” tra Google e l’Eliseo

La “tassa Google” è morta prima di nascere, grazie… alle potenti capacità di lobbying di Google?!

Dopo oltre due mesi di trattative e allo scadere del tempo massimo previsto per trovare un’intesa, l’Eliseo ha diffuso la notizia di aver raggiunto un accordo con il gigante di Mountain View, nella vicenda che contrappone gli editori della “carta stampata” (ma in generale i produttori di contenuti di qualità) ed i “nuovi aggregatori” (alias Google e YouTube), anche in relazione alla utilizzazione delle rassegne stampe ed alla indicizzazione delle news.

Nelle settimane scorse, era stata in trattativa una intesa che avrebbe dovuto determinare un flusso garantito, nell’ordine di 50/100 milioni di euro l’anno, da parte di Google, a favore della stampa quotidiana e periodica francese, per consentire l’indicizzazione dei titoli. Era stata anche ipotizzata una quota percentuale fissa dei ricavi pubblicitari di Google in Francia, stimati tra 1,2 ed 1,4 miliardi di euro: un 100 milioni l’anno avrebbero rappresentato meno del 10 % del business francese della multinazionale statunitense.

Questa trattativa sembra essere stata superata da un nuovo e diverso accordo, che sposta su un altro piano la querelle, e propone una soluzione “una tantum”, non stabile come invece auspicavano gli editori.

In base al nuovo accordo, il colosso della rete pagherà 60 milioni di euro (82 milioni di dollari Usa) agli editori francesi per “contribuire alla transizione al digitale dell’editoria cartacea”: più esattamente, questa somma verrà messa a disposizione da Google per alimentare un “fondo dedicato” destinato a selezionare “iniziative promettenti che stimolino l’emersione di nuovi contenuti online”, ma anche per aiutare gli editori a monetizzare meglio i contenuti digitali attraverso strumenti commerciali del motore di ricerca come AdSense, AdMob e AdExchange.

Con questo accordo, inoltre Google diventa  partner privilegiato degli editori nel passaggio al digitale, fornendo loro strumenti tecnici e competenze soprattutto nel settore della raccolta pubblicitaria.

L’accordo consente a Google di evitare un intervento normativo, almeno per ora, anche se non sembra risolvere la querelle sull’indicizzazione.

Più concretamente, nell’arco di 5 anni, “Big G” stanzierà 60 milioni di euro, per un fondo (in inglese, definito “digital publishing innovation fund”), che sarà gestito da una triade, di cui faranno parte Carlo D’Asaro Biondo (Google, Presidente Semea), Nathalie Collin (Direttrice del “Nouvel Observateur” e Presidente dell’lpg ovvero l’Association de la Presse d’Information Politique et Générale) e Marc Schwarz (il famoso “mediatore”, già Presidente di France Télévisions, designato da Hollande a fine novembre 2012 proprio al fine di raggiungere un accordo tra le parti).

Grande sembra l’entusiasmo generale.

L’accordo viene definito addirittura “storico” e “rivoluzionario”: il Presidente Hollande, in conferenza stampa il 1° febbraio, ha sostenuto “Il s’est produit aujourd’hui un événement mondial” (testuale: “mondiale”) nella storia dei media. Ovviamente – ha aggiunto – “nell’interesse del popolo francese”.

Certo, 60 milioni di euro non sono pochi, ma certamente neppure una cifra stellare, per un colosso che nel 2012 ha superato la soglia dei 50 miliardi di dollari Usa di fatturato planetario e ben 11 miliardi di dollari di utile netto. Abbiamo già ricordato che il fatturato Google in Francia viene peraltro stimato tra 1,2 ed 1,4 miliardi di euro l’anno. Anche se la filiale francese del gruppo non dichiara più di 150 milioni di euro di fatturato in Francia…

Quel che appare più curioso è – in verità – che, sulla base di questa partnership, Google di fatto offrirà consulenza agli editori e fornirà loro suggerimenti su come ottenere proventi pubblicitari, cercando di ridurre le perdite nella transizione all’online. In altri termini, Google mette sul piatto 60 milioni di euro per… finanziare la “riconversione” dell’editoria su carta, al fine di far divenire questi editori clienti dei propri servizi a pagamento! È una sorta di investimento strategico, dal punto di vista di Mountain View.

Il Ministro dell’Economia Digitale, Fleur Pellerin, ha dichiarato che la somma concordata è “molto soddisfacente. Non è una pura sovvenzione. È un aiuto alla trasformazione in modo che gli editori della stampa possano modernizzare i loro modelli economici”.

Il testo dell’accordo non è stato reso pubblico, e ciò ha provocato già prevedibili polemiche sulla gestione dell’istituendo fondo: in particolare, lo Spiil, Syndicat de la Presse Indépendante d’Information en Ligne, evidenzia come si tratti di un’intesa rilevante, perché 60 milioni di euro corrispondono al sostegno dello Stato francese per l’editoria giornalistica elettronica nell’arco di tre anni (ovvero a 6 volte l’aiuto accordato nel 2012).

Ma la domanda che sorge spontanea è: cosa accadrà tra 3 anni, visto che l’accordo prevede comunque una scadenza? E cosa accadrà – nel mentre – per le rassegne stampa e per l’indicizzazione delle news?!

Certo è che si tratta di un segnale di disponibilità di Google, ma lo scenario generale dell’accordo suscita ancora molte perplessità.

Secondo una lettura maligna, il “conquistatore” Google potrebbe aver comprato la benevolenza dell’“indigeno” Francia con qualche specchietto… due spiccioli, insomma, per evitare una legge!

Cosa accadrà negli altri Paesi, che comunque avevano condiviso con la Francia la battaglia per la remunerazione dei contenuti sfruttati in rete? Ed in Italia, in particolare?!

Si ricorda che a fine ottobre 2012, la gli editori italiani, francesi e tedeschi (Fieg, Ipg, Bdzv e Vdz) avevano deciso di fare fronte comune per “la tutela del diritto d’autore ai tempi del web”. Il Presidente della Fieg Giulio Anselmi ed il Direttore Generale Fabrizio Carotti hanno sostenuto con decisione che una “rete libera” non può tradursi meccanicamente in “gratuità totale” dei contenuti, ed hanno rivendicato l’esigenza di una legge a tutela dei contenuti. La Fieg ha proposto che una percentuale dei ricavi pubblicitari di Google in Italia vada agli editori, consentendo così ai nuovi aggregatori di indicizzare i prodotti editoriali online. Per la Federazione Italiana Autori Editori, si tratterebbe di riprodurre un accordo analogo a quello che è stato siglato per la tutela delle rassegne stampa cartacee, che garantisce le royalties agli editori (una sorta di “equo compenso”) dai soggetti che realizzano le rassegne stampa: una quota del 4 % dei ricavi delle aziende fornitrici delle rassegne stampa va collettivamente agli editori (cioè alla Fieg), che si spartiscono i proventi in base agli articoli pubblicati nelle rassegne stampa. La Fieg ha promosso una srl che fa capo alla Federazione, Promopress, e la “quota” percentuale è partita dal 2 % del 2012 per arrivare all’8 % nel 2015. Non tutte le società specializzate nella produzione di rassegne stampa hanno però aderito al progetto Fieg. Si segnala che si tratta di un settore che darebbe lavoro a circa 600 persone, per un fatturato complessivo di ben 40 milioni di euro l’anno. Soltanto la storica L’Eco della Stampa fattura ogni anno oltre 20 milioni di euro, ed impiega oltre 200 dipendenti. Data Stampa, fondata nel 1981, effettua il monitoraggio di 1.570 testate.

L’obiettivo delle associazioni dei tre Paesi era l’inserimento nei quadri normativi nazionali di una disciplina che definisse “un sistema di diritti di proprietà intellettuale idoneo a incoraggiare su internet forme di cooperazione virtuosa tra i titolari di diritti sui contenuti editoriali e gli operatori dell’industria digitale (in primo luogo, i motori di ricerca)”.

E proprio di oggi, 4 febbraio 2013, la laconica notizia apparsa sul sito web del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che qui riportiamo: “La Rassegna Stampa, a seguito di specifica richiesta, avanzata dalla Fieg – Federazione Italiana Editori Giornali, sul tema della tutela del diritto d’autore, con particolare riferimento alle attività di utilizzazione e diffusione delle rassegne stampa, dal 1° febbraio 2013 non è più accessibile dall’esterno. Per i dipendenti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il servizio è disponibile sulla rete Intranet”. Si ricorda che nel dicembre 2012, Fieg ottenne che non sarebbero state più accessibili dall’esterno le rassegne stampa della Camera e del Senato: questo blocco dell’accesso doveva avvenire dal gennaio 2013, ma è stato poi rimandato a fine legislatura, ed in effetti la rassegna stampa dei due rami del Parlamento è ancora oggi liberamente consultabile. Il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, aveva preso posizione a favore del mantenimento della libera fruizione della rassegna stampa, ma poi ha prevalso la considerazione che il Parlamento non può non tener conto delle leggi in vigore nel proprio paese. Gli oppositori hanno bollato queste iniziative della Fieg come “oscurantiste”.

Si ricorda infine che in Germania è ancora in gestazione una proposta di legge (denominata “Leistungsschutzrecht für Presseverleger”) avviata il 29 agosto, che prevede che Google sia obbligata ad una sorta di tassa sui propri ricavi, da destinare giustappunto agli editori. Nel novembre 2012, Google ha reagito lanciando una campagna informativa di contestazione dell’iniziativa legislativa, con lo slogan “Defend Your Net”, per osteggiare l’iter del provvedimento, che è ancora in discussione al Bundestag (come è noto, il Partito dei Pirati è ovviamente il maggiore oppositore).

In Italia, si attende ancora di comprendere cosa intenda fare l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in relazione alla controversa gestazione della delibera in materia di diritto d’autore online. E nel mentre il nostro Paese veleggia nei picchi delle statistiche mondiali sulla pirateria, e permane ben classificata nella “black list” del Governo Usa. E non sembra che su queste tematiche qualcuno tra gli aspiranti premier abbia mostrato sensibilità di sorta.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E.) 4 febbraio 2013

Pirati dei Caraibi…

Il titolo rievoca la famosa saga di 4 film della Walt Disney, ma questa volta invece più che di finzione si tratta di… cruda realtà. Sembra infatti che il governo dell’isola caraibica di Antigua abbia deciso di aprire un portale per la vendita di musica, film e software di provenienza non esattamente lecita, ovvero frutto di scaricamenti illegali. Dalle istituzioni di quella che un tempo era la “terra di pirati” emerge chiaramente l’intento di fare “un’isola pirata”… virtuale. Sono molti coloro che interpretano questa decisione come una sorta di rivalsa, ovvero vendetta contro gli Stati Uniti, che, avendo una legislazione molto rigorosa in materia di gioco d’azzardo, avrebbero bloccato l’accesso da parte dei cittadini americani a diversi siti specializzati originari dell’isola. Mossa che ha privato il piccolo stato caraibico di miliardi di dollari. Nonostante la strenue opposizione delle autorità Usa, che hanno cercato di ostacolare l’azione cavalcando l’onda della lotta alla pirateria, il progetto pare abbia ottenuto il “feu vert” del Wto, ovvero dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Il futuro sito dovrebbe proporre (nelle intenzioni dei suoi creatori) un abbonamento da 5 dollari al mese per accedere – senza limiti – a tutti i contenuti. Una prospettiva degna del peggiore incubo di tutta l’industria creativa, da quella dell’audiovisivo a quella fonografica. Un segnale d’allarme sembra essere arrivato anche dalla Casa Bianca, considerata anche l’importanza ricoperta dalle major per le campagne elettorali “made in Usa”. Sono però in molti a sperare al miraggio dei… contenuti gratis per tutti. Una notizia del genere merita davvero una riflessione profonda. Qualora il portale caraibico divenisse effettivamente operativo, la perdita per il settore dei contenuti sarebbe… apocalittica, ed anche difficile da quantificare. Ci piace qui ricordare che pagare per fruire di contenuti di qualità non vuol dire arricchire coloro che li hanno prodotti, ma soprattutto immettere risorse per la rigenerazione del sistema. Senza risorse da reinvestire l’ecosistema produttivo andrà in crash, ed i contenuti di qualità (che si tratti di audiovisivi o musica poco importa) verranno meno. E, a quel punto, ci sarà davvero poco da gioire del “tutto gratis”, tralasciando le conseguenze di ciò in termini di depauperamento del sistema culturale, oltre che di forza-lavoro.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva  – E. ) 30 gennaio 2012

Piccole grandi lobby si muovono, tra Google e Internet

Riproduciamo di seguito un articolo che abbiamo pubblicato sul sito web di Millecanali (Sole24Ore), dedicato a due iniziative, in materia di internet, tenutesi a Roma ad inizio settimana.

Buona lettura

http://www.millecanali.it/piccole-grandi-lobby-si-muovono-tra-google-ed-internet/0,1254,57_ART_210756,00.html

Piccole grandi lobby si muovono, tra Google ed Internet

Il resoconto di due iniziative romane, tenutesi nello stesso giorno, che hanno come comune denominatore le nuove tecnologie: ‘Alleanza per internet’ e “Google Elections”.

Elena D’Alessandri e Angelo Zaccone Teodosi (*)

22 Gennaio 2013

La mattinata romana di martedì 22 gennaio si è caratterizzata per due, anzi tre, interessanti iniziative convegnistiche: la conferenza stampa per il progetto di “informazione politica” promosso da una joint-venture tra Google Italia, La Stampa e La7; la presentazione della neonata “Alleanza per Internet”; la conferenza stampa di Usigrai ed Articolo21 per una “agenda per la Rai” (alla quale ha partecipato encomiabilmente anche il Direttore Generale Luigi Gubitosi)… Qui ci soffermiamo sulle iniziative di lobbying (perché tali sono, al di là delle apparenze) su Google ed internet. Nuove voci e nuove energie per rilanciare (ma ce n’è necessità?!) la grancassa del web miracoloso, ovvero su internet e le sue (infinite?!) potenzialità, non soltanto intese in termini tecnologici ed economici, ma anche con riferimento alla democrazia, ed alle chances di rilancio del Paese. Il primo evento è stato ospitato nella sala del Garante per la Privacy (a Piazza Montecitorio): si è trattato della presentazione dell’“Alleanza per internet”. Quasi in perfetto orario (raro accadimento, nelle agende romane), la kermesse ha avuto inizio di fronte ad una sala gremita. Il programma della mattinata non era stato reso noto, per stimolare la curiosità. Ad aprire le danze, in veste di moderatore, il brillante quanto efficace Carlo Alberto Carnevale Maffè, accademico di indiscussa intelligenza e di efficace piglio, oltre che di una verve senza pari. Carnevale Maffè si è limitato a poche battute introduttive, tra le quali la più efficace – e che probabilmente ha sintetizzato il senso di tutto il suo discorso – è stato “internet è per tutti”.A seguire è stato proiettato un breve ed efficace video: sullo sfondo di immagini di città del mondo note ai più, sono stati snocciolati dati di fruizione di internet, cellulari, smartphone, social network (con confronto % tra Italia e media Europea), ed altro ancora. La parola è quindi passata a Franco Pizzetti, ex Presidente Garante Privacy ed ora primo promotore e Presidente di questa “Alleanza”. Pizzetti ha ringraziato più volte l’autorità ospitante e, nello specifico il Presidente Antonello Soro, nonché l’Autorità Garante nelle Comunicazioni, rappresentata dal Commissario Maurizio Décina (che è intervenuto “uti singuli” come aderente o in rappresentanza dell’Agcom come osservatore?! si ha ragione di ritenere che Agcom non possa aderire all’Alleanza, e Décina ha in effetti proposto alcune sue teorizzazioni, senza entrare nel merito della specifica iniziativa). Il tema centrale, più volte ribadito, è stato l’importanza di internet per la “vita di tutti i giorni”, un internet nel “rispetto delle regole” (da qui l’importanza dell’intervento delle due autorità). È quindi stata ribadita la necessità per l’Italia di recuperare terreno in un ambito in cui spesso viene relegata a fanalino di coda, per le stranote ragioni, di cui la limitata diffusione della banda larga è grave non meno della limitata alfabetizzazione informatico-telematica. Il “problema vero” è stato identificato da Pizzetti nel “ritardo culturale della classe politica verso l’economia digitale” e nell’aver troppe volte sottovalutato l’importanza della formazione: “non si digitalizza il Paese solo mettendo computer”, ha sostenuto (anche se – ci sia consentito – molti docenti della disastrata italica scuola non sarebbero d’accordo con lui…). Sono stati poi passati in rassegna l’annoso problema del diritto d’autore (la mitica regolamentazione Agcom che non arriva ancora…), la necessità di sviluppare l’e-commerce ed il mobile payment e di diffondere il wi-fi: questioni affrontate in modo adeguato in Paesi europei più evoluti. Oggi stesso, ha aggiunto Pizzetti, verrà inviata una lettera (successivamente letta da Raffaele Barberio, direttore della newsletter telematica “Key4biz”) ai leader delle principali coalizioni, chiedendo loro un serio impegno a sviluppare una autentica “società digitale”.È stata anche invocata la istituzione, nel prossimo governo, di un Ministero per lo Sviluppo Digitale. Pizzetti ha concluso sostenendo che si deve mettere fine a un’epoca in cui in Italia internet viene vissuto “all’interno di una chiesa medievale”, gli uni contro gli altri, e con molti esclusi. Il comitato promotore della “Alleanza”, di cui fanno parte diversi soggetti provenienti da differenti aree (da Franco Bernabè di Telecom Italia alla parlamentare Linda Lanzillotta, alla organizzatrice culturale Gabriella Cims, passando per colossi come Microsoft Italia e soggetti atipici come l’Università Link, fondata da Scotti…), mira a costruire una rete con le università, le imprese, la società civile, e ad intessere un rapporto con le autorità governative. Antonello Soro, dopo i saluti di rito, si è limitato a poche battute, ribadendo che internet è paragonabile alla “rivoluzione industriale” del Novecento, e che quindi una dinamica di convergenza tra i vari settori è essenziale per la modernizzazione del Paese. Ovviamente, in qualità di Garante per la Privacy, ha ribadito l’importanza della protezione dei dati personali e della sicurezza della rete. E – verrebbe da aggiungere – della necessità di non trincerarsi dietro l’anonimato in rete in nome della libertà di opinione: si pensi alla recente polemica su coloro, che, approfittando del web “libero e bello”, hanno reso onore al “compagno Prospero Gallinari”. Si veda, in argomento, il bell’articolo scritto da Benedetta Tobagi sulla prima pagina de “la Repubblica” del 15 gennaio, dal titolo significativo, “Se il carceriere di Moro diventa un eroe sul web”. La parola è quindi passata a Maurizio Dècina, Commissario Agcom, considerato da molti uno dei “padri” di internet in Italia. La sua frase di apertura è stata: “il bello di internet è che non si ferma”. Dècina ha proseguito sostenendo che la libertà di internet si snoda attraverso 2 passi fondamentali: la “net neutrality” e la “app neutrality”. Ha lamentato la mancanza di interoperabilità tra i diversi sistemi, che certamente danneggia il consumatore ed ha ribadito infine l’importanza di un accordo europeo in tema di alfabetizzazione digitale e sicurezza. A seguire, l’effervescente Carnevale Maffè ha invitato diversi stakeholder a proporre dei… “tweet vocali”. In primis Franco Bernabè di Telecom Italia e, successivamente, Franco Bassanini, ex Ministro e attualmente Presidente della poco nota ma potentissima Cassa Depositi e Prestiti (uno dei potenziali protagonisti nel nuovo scenario, in caso di dismissione della rete delle tlc). Bernabè ha ribadito l’importanza della alfabetizzazione informatica e ha proseguito evidenziando che l’Italia non si sta digitalizzando col pc, ma attraverso la telefonia mobile (in effetti, se, da una parte, siamo il fanalino di coda, dall’altra, nel “mobile”, l’Italia è ai primi posti in classifica). Ha poi evidenziato una peculiarità del nostro Paese: il percorso di “informatizzazione” e la spinta per gli investimenti infrastrutturali verrà trainato dalla Televisione, ancora indiscusso “media mainstream”. Anche Bernabé ritiene che internet sia uno strumento per rilanciare la competitività e la produttività del Paese. Bassanini ha esordito con “l’idea della Alleanza per Internet è buona, speriamo che non si areni come molte volte è successo in Italia con altri progetti”. Il problema fondamentale del momento è far riprendere la crescita e la competitività e, in tal senso, l’Agenda Digitale è un tassello importante del puzzle. Il problema però non è mettere su semplicemente una “agenzia digitale”, ma approvare i decreti attuativi, senza i quali né l’Agenda né l’Agenzia hanno molto senso. Infine, l’esigenza invocata – un po’ utopica, sia consentito – è quella di una “regia politica”. Seguono interventi ancora più “lampo”. Enzo Scotti (già ministro andreottiano e conoscitore di molti arcani della politica italiana) della Link Campus: “la sfida maggiore è quella dell’università”; “pensiamo di avere tutte le risposte, ma non ci rendiamo conto che l’innovazione ha in verità cambiato tutte le domande”. L’amministratore delegato di Almaviva, Alberto Tripi (noto anche come “il re dei call center”), “l’Italia deve diventare un Paese moderno, non modernizzato”. Elisa Manna, responsabile dell’area cultura del Censis: “Sono entrata nel comitato promotore perché ha intravisto un approccio sistemico”. Ed ha aggiunto: “Internet deve entrare nel lessico familiare”. Cristiano Radaelli, presidente Anitec (l’associazione che raccoglie le industrie dell’informatica, delle telecomunicazioni e soprattutto dell’elettronica di consumo, appena riconfermato alla presidenza dell’associazione aderente a Confindustria Digitale), “bisogna rendere internet più conveniente – rispetto a tutti gli altri mezzi – per tutti (in termini economici)”.Questo risparmio derivante dall’utilizzo della rete convincerebbe molto più di altri “appeal” il consumatore medio. Linda Lanzillotta, deputata, già Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie locali nel Governo Prodi e membro della Commissione Affari Costituzionali, nonché attualmente candidata di punta della Lista Monti, “la governance digitale dovrebbe essere in capo al Primo Ministro”. In conclusione, Michele Ficara, Direttore editoriale di Assodigitale.it, ha sostenuto che “la tecnologia è l’ultimo dei problemi”. A poche centinaia di metri, in contemporanea, presso la sede della associazione della Stampa Estera, una sala affollata soprattutto di giornalisti stranieri, per la presentazione di “Google Elections”. Molti collegamenti Tv, decine di mac in sala, più svariati tablet più svariati smartphone (ma “è la modernità, bellezza” – direbbe qualcuno). A moderare il dibattito il giornalista Gianni Riotta, a presentare il progetto Simona Panseri per Google (responsabile comunicazione della filiale italiana), Marco Bardazzi per “La Stampa” (è editorialista del quotidiano torinese) e Gianluca Visalli per La7 (è responsabile new media Telecom Italia Media/La 7). Il fatto: Google dispone di questa piattaforma già usata e sperimentata in altri Paesi durante le elezioni, che adesso lancia anche qui in Italia. Ci hanno tenuto a sottolineare che questa è una versione “customizzata” apposta per noi. A raccontarla è più complicato che a vederla. È una pagina che permette l’interazione tra l’informazione e i cittadini i politici e la campagna elettorale (quelli che navigano ovviamente – che sono una parte soltanto dell’italica popolazione – ma questo nessuno lo ha rimarcato…). Google ci ha tenuto ha sottolineare che loro non si occupano dei contenuti (ma va?!), ed è per questo che ha lanciare e supportare questo progetto ci sono due “media partner” di prestigio: La7 e La Stampa. I “perché” sono presto detti: entrambi collaborano da molto tempo con Google in vari progetti. La7 è la Tv che da più tempo e forse quasi da prima di ogni altra in Italia ha aperto il canale su YouTube e La Stampa è la prima ad aver sperimentato la modalità dell’“hangout” per stimolare i dibattiti su temi di interesse politico/sociale (gli “hangout” – per chi non lo sapesse ancora… – sono videochat di gruppo a cui possono partecipare un numero definito di persone). L’home page ha a sinistra il canale YouTube in evidenza (viene gestito editorialmente da La7), la colonna di destra con le pagine dei partiti, dei protagonisti della campagna elettorale, eccetera, ovviamente loggati su Google Plus, mentre nella parte inferiore ci sono i “feed” alle notizie selezionate non dall’algoritmo di Google, ma da una serie di “tag” e parole-chiave, gestite dal quotidiano ‘La Stampa’. La7 ha aggiunto che loro hanno messo a punto un’applicazione che permetterà di navigare tutto il contenuto che La7 produrrà in tema di elezioni. ‘La Stampa’ è più orientata a produrre dialogo, dibattito tra i cittadini e i candidati politici, a moderare gli “hangout”. Il quotidiano è anche promotore del premio “1 App 4 Democracy”, un concorso che premierà le applicazioni che saranno in grado migliorare l’interazione tra i cittadini e gli esponenti politici attraverso le nuove tecnologie. Fin qui, la prima parte della conferenza, seguita da qualche domanda di giornalisti stranieri. Nella seconda parte, un assaggio di tutto ciò con Renato Brunetta (Pdl), Andrea Romano (Lista Monti), Pippo Civati (Pd), a moderare Alessandra Sardoni di “Omnibus” (La7), ed al tavolo anche Laura Bononcini (Policy Manager per l’Italia). Qui ha prevalso… la noia, in pieno stile delle italiche campagne elettorali: vecchi o nuovi media che siano, sembra che purtroppo cambi poco. A parte politici, che ora si divertono a rispondere a domande che sono frutto di un tweet. E la chiamano democrazia… Conclusivamente, due curiose iniziative “parallele”, entrambe finalizzate ad enfatizzare le “magnifiche sorti e progressive” del web. In entrambe le iniziative, la questione che pure dovrebbe essere al primo punto della “agenda digitale”, ovvero la produzione di contenuti originali di qualità, è stata oggetto di minima attenzione. Citando Moretti: “continuiamo così, facciamoci del male…”. (ha collaborato Claudia Lo Presti)
(*) Elena D’Alessandri e Angelo Zaccone Teodosi sono, rispettivamente. Responsabile di Ricerca e Presidente IsICult (www.isicult.it).

 

 

 

L’esito (fallimentare) dell’Itu conference di Dubai

La situazione di stallo che si era determinata nella prima settimana della International Telecommunication Unit (Itu) di Dubai aveva preannunciato una difficile soluzione del meeting organizzato dalle Nazioni Unite per modificare gli accordi internazionali che regolano le telecomunicazioni, e quindi, in generale, il destino di internet. Alla fine della conferenza di Dubai, durata ben due settimane, tra il 3 ed il 14 dicembre, questo l’esito:

- l’Onu ha approvato un accordo con 77 voti a favore e 33 contro;

- dei Paesi invitati a partecipare, soltanto 89 Paesi – tra cui Cina, Russia, Brasile, Arabia Saudita – hanno sottoscritto il nuovo trattato;

- 55 Paesi hanno contestato il nuovo trattato. Tra questi figurano giganti come gli Usa, il Canada ed il Regno Unito, che lo hanno definito “censorio” delle libertà di internet, opera di governi non esattamente democratici, ed hanno abbandonato l’aula;

- altri Paesi, tra i quali l’Italia, sono rimasti in sostanziale stand-by, nell’attesa di decidere cosa fare.

Insomma, il meeting tanto atteso è stato un sostanziale “flop”.

E, soprattutto, il testo del nuovo trattato, da molti giudicato lesivo delle libertà della rete, nonostante le rassicurazioni del Segretario Generale dell’Itu, Hamadoun Touré, può esser soggetto a varie interpretazioni, il che determinerà una differente applicazione nei diversi contesti in cui verrà ratificato.

Alcuni analisti hanno ragione di ritenere che la “battaglia di internet” sia divenuta un “affaire” geopolitico all’interno di una nuova “guerra fredda”. Stavolta dunque la cortina di ghiaccio si andrà ad erigere tra i Paesi firmatari e coloro che invece non hanno firmato. Il nuovo trattato, in generale, affida un maggiore potere ai singoli Governi in materia di internet. E questo spaventa Paesi come gli Stati Uniti, che intendono battersi per mantenere l’attuale equilibrio “multistakeholder”. Allineato alle posizioni statunitensi, naturalmente, il gigante della rete, Google, i cui rappresentanti hanno dichiarato “Ciò che risulta chiaro è che molti Paesi vogliono aumentare la regolamentazione su Internet e censurare la Rete. Google sta dalla parte dei Paesi che rifiutano di siglare il trattato, e dei milioni di voci a favore di un open e libero web”. E finanche  Robert McDowell, Commissario della Federal Communications Commission, si è schierato sul medesimo versante, sostenendo che “solo una rete isolata dalle regolamentazioni governative non mina gravemente il successo del modello multistakeholder della governance di internet“. Se, da una parte, è evidente che gli Usa cercano di proteggere i propri interessi, dall’altra parte appare altrettanto evidente che non ci sarà un nuovo trattato condiviso per la regolamentazione delle tlc e di internet. Il trattato, in ogni caso, entrerà in vigore solo nel 2015, e quindi nel prossimo biennio potrebbero cambiare ancora molte cose, anche in considerazione del fatto che il nuovo meeting Itu si terrà nel 2014 nella Corea del Sud.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 2 gennaio 2013

Google comincia a cedere. Accordo con gli editori belgi

Dopo mesi di discussione sembra che la polemica tra editori di giornali e il gigante di Mountain View si stia lentamente avviando ad una soluzione.

Mentre l’alleanza degli editori europei di giornali, che ha visto dapprima coinvolte  Italia, Francia e Germania, cui si sono successivamente unite anche Spagna, Portogallo e Svizzera ancora attende, un qualche spiraglio arriva dal Belgio, dove sembra essersi finalmente raggiunta un’intesa tra Google e gli editori dopo 7 lunghi anni di battaglie legali.

Le associazioni di categoria hanno infatti siglato un accordo che prevede una partnership commerciale tra “Big G” e i giornali (di lingua francese) del Belgio.

L’obiettivo dell’intesa è quello di aiutare gli editori a monetizzare i loro contenuti online, cercando di convogliare traffico sui loro siti, ma anche sviluppare la distribuzione sulle piattaforme mobili e d’aumentare il coinvolgimento degli utenti, incrementando il fatturato per i siti degli editori.

Sulla base di quanto è emerso,l’accordo tra le parti prevede l’utilizzo dei reciproci mezzi di informazione e comunicazione. Google quindi, attraverso Adwords, cercherà di portare il più alto numero di lettori sui siti web dei giornali, mentre i giornali dedicheranno spazi pubblicitari a Google.

Entrambe le parti hanno smentito l’articolo uscito sul quotidiano francese “Le Monde”, che riferiva di una consistente indennità (circa 4 milioni di euro) che Google avrebbe versato agli editori belgi per l’ indicizzazione dei loro articoli. In verità l’accordo, si ribadisce, non prevede alcun pagamento agli editori (e quindi agli autori) per l’indicizzazione dei contenuti online.

Cosa accadrà negli altri Paesi?

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva  - E. ) 14 dicembre 2012

WCIT – Dubai 2012

Proprio in questi giorni si sta svolgendo l’incontro decisivo sul futuro di internet, la “World Conference on International Telecommunications”, organizzata dall’Itu – International Telecommunication Union, agenzia delle Nazioni Unite, che riunisce gli esponenti di 193 Paesi in tutto il mondo. Il summit è stato indetto per negoziare una revisione dell’Itr – International Telecommunication Regulations treaty, adottato dai governi nel 1988. Il trattato Itr era infatti focalizzato sulle telecomunicazioni e non menzionava neppure internet, che all’epoca era agli albori. Si è resa quindi necessaria una revisione del trattato alla luce di uno scenario completamente rivoluzionato.

I membri dei 193 Stati invitati a partecipare al summit hanno mandato le loro proposte di revisione, che hanno costituito le basi per la negoziazione durante il Wcit.

Quel che dunque i governi decideranno a Dubai potrà quindi avere un impatto molto significativo sul futuro di internet.

L’incontro di Dubai è iniziato lo scorso lunedì 3 dicembre e, della durata di due settimane, si protrarrà fino al prossimo venerdì 14 dicembre.

Ad una settimana dall’inizio della conferenza mondiale sulle telecomunicazioni la fotografia che emerge è quella di un sostanziale stallo. Stand-by determinato dalla netta contrapposizione di due blocchi: da una parte, gli Usa in primis, ma anche alcuni Paesi europei, latino-americani e asiatici chiedono che la governance di internet venga lasciata fuori dai trattati internazionali, una sorta di “no man’s land”, con tutto quanto ne consegue in termini di mancate tutele e rischi per la privacy.

Dall’altra parte della barricata invece Cina, Russia e Arabia Saudita che spingono affinché il controllo governativo venga esteso anche ad internet.

Attendiamo con ansia la fine del summit e le decisioni che verranno assunte e certamente torneremo a scriverne su queste colonne.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 12 dicembre 2012

Ordinato il sequestro preventivo, sul suolo italiano, del sito “pirata” Avaxhome.ws

Con un provvedimento del 28 novembre 2012, la Procura del Tribunale di Milano, a  seguito della denuncia proposta dalla Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. nel giugno scorso, ha ordinato il sequestro preventivo, sul suolo italiano, del sito web Avaxhome.ws, da anni punto di riferimento per la pirateria della carta stampata di tutto il mondo, e che raccoglie l’editoria quotidiana italiana e di molteplici altri Paesi, oltre a video, musica e software in dieci lingue. Il tutto rigorosamente senza alcuna autorizzazione da parte dei legittimi titolari dei diritti. I principali provider italiani stanno già provvedendo ad “oscurare” il sito web, impedendone la ricezione ai propri utenti.
Le tecniche del cosiddetto “Dns poisoning” e del blocco selettivo degli scambi dati con l’indirizzo Ip di un sito web sembrano confermarsi le metodologie più utilizzate dai giudici italiani per contrastare la pirateria digitale. Per la prima volta, tuttavia, ai gestori di un sito web dedito alla pirateria non viene contestata la sola violazione del diritto d’autore, ma anche il reato di ricettazione, ai sensi dell’art. 648 del Codice Penale. Proprio questa inedita fattispecie ha consentito al Pm di ordinare preventivamente il sequestro del portale pirata, in attesa che il giudice designato si pronunci sul caso proposto.
Attenderemo con interesse le statuizioni del giudice sul provvedimento reso del Pm e sul merito della causa.

(a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G. ) 3 dicembre 2012

Editori europei contro Google: dopo Francia Italia e Germania, si alleano Portogallo e Svizzera

Continua la guerra senza quartiere degli editori europei di giornali contro Google e nuovi attori scendono in campo. Al fianco dei colleghi francesi italiani e tedeschi, si sono mossi anche gli editori portoghesi e quelli svizzeri. Gli editori dei 5 Paesi si stanno coordinando sul piano internazionale, e stanno chiedendo con veemenza ai rispettivi governi forme di tutela adeguate per i loro contenuti in questa nuova “era digitale” al fine di ottenere adeguata remunerazione per lo sfruttamento delle loro opere editoriali.
Intanto, in Germania è iniziato oggi l’esame al Parlamento della cosìdetta “Lex Google”, che intende tutelare i diritti di proprietà intellettuale online. Nel mentre “Big G”, alcuni giorni fa, ha lanciato una campagna di raccolta firme contro l’approvazione della legge che limiterebbe, a suo dire, la libertà di internet.
Anche all’interno del Parlamento tedesco stanno emergendo spaccature rispetto alla questione se Google debba o meno pagare il cosìdetto “ancillary  copyright”, ovvero una sorta di “copyright ausiliario” per le poche righe di notizie reperibili in rete tramite i motori di ricerca o gli aggregatori di news.
Tutti gli editori scesi in campo, compresa l’associazione italiana Fieg, concordano sul fatto che “Big G” debba re-distribuire alla carta stampata parte dei suoi consistenti ricavi pubblicitari. Basti in tal senso pensare che dati resi noti dalla World Association of Newspaper hanno mostrato che tra il 2005 e il 2011 i ricavi pubblicitari dei giornali, a livello globale, sono calati da 195 a 76 miliardi di dollari Usa, e che, allo stesso tempo, i ricavi dei giornali dipendenti dalla pubblicità online sono cresciuti appena da 2 a 3,2 miliardi di dollari.
Intanto, in Francia è stato nominato un mediatore nella controversia tra gli editori ed il gigante di Mountain View, che dovrebbe permettere di trovare una forma di accordo tra le parti entro l’anno. Diversamente, interverrà il Parlamento con una specifica proposta di legge.
La battaglia dell’Europa contro Google non si consuma soltanto sull’impervio sentiero del copyright. Nuove polemiche e nuovi attacchi puntano agli altri grandi temi: evasione fiscale  e posizione dominante nel mercato del “search”…

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 30 novembre 2012

La Corte di Giustizia Ue: le Direttive vigenti non ostano all’identificazione di un pirata tramite indirizzo Ip

Con una recentissima sentenza (resa nella causa C-461/10 – Bonnier Audio Ab / v Perfect Communication Sweden Ab, disponibile all’indirizzo http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=?docid=121743&doclang=IT&mode=req&cid=1153798), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha esaminato una importante questione di diritto, in tema di pirateria: la possibilità o meno, per le normative degli Stati Membri, di attribuire ai giudici nazionali specifici poteri di ingiunzione nei confronti degli operatori di rete, per rendere possibile il rilascio dei dati identificativi dell’utente che distribuisce illegalmente contenuti attraverso un certo indirizzo Ip.
La controversia da cui promana il caso comunitario vedeva coinvolte una “collecting society” (la Bonnier Audio), che aveva richiesto al proprio giudice nazionale di conoscere l’identità del soggetto che diffondeva via Ftp tramite un certo indirizzo Ip, copie illegali di propri audiolibri, e l’internet provider (la Perfect Communication Sweden) che forniva connettività al presunto pirata.
La Perfect Communication Sweden, che di fatto aveva assegnato l’indirizzo Ip contestato al presunto pirata, opponeva la riservatezza del contenuto delle comunicazioni del proprio cliente, e si trincerava dietro una supposta illegittimità della normativa nazionale che attribuiva al giudice il potere di ingiungere la “disclosure” dei dati personali del presunto pirata.
L’ingiunzione, concessa dal Tribunale di primo grado, veniva impugnata presso la Corte d’Appello di Svea, che sollevava questione pregiudiziale comunitaria in merito alle deduzioni dell’internet provider.
Nella sentenza in commento, la Corte di Giustizia compie una accurata ricognizione della normativa contenuta nelle Direttive Comunitarie in materia di diritto d’autore, privacy e telecomunicazioni, evidenziando le molte tutele, strumenti e scopi delle stesse, e giungendo infine alla considerazione che nulla, nel testo delle stesse, sembra ostare al riconoscimento di un tale potere alla magistratura di uno Stato Membro, e che anzi le Direttive stesse hanno sinora curato di lasciare spazio di azione agli Stati Membri in proposito, così da offrire ogni maggior grado di tutela ai soggetti coinvolti, nel bilanciamento degli interessi che vengono in contatto.
Seguiremo dunque con attenzione gli sviluppi e gli effetti che questa sentenza potrà avere in ambito europeo, ma riteniamo qui anzitutto opportuno evidenziare come la sentenza modifichi il precedente orientamento comunitario, espresso nel caso “Promusicae”, che aveva ritenuto necessario, nel bilanciamento degli interessi, attribuire carattere di prevalenza al diritto alla privacy sulla tutela giudiziale del diritto d’autore, e sostanzialmente consenta per la prima volta espressamente l’attribuzione a livello nazionale di poteri di ingiunzioni di “disclosure”, quale quella richiesta alla magistratura svedese.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G. ) 27 novembre 2012

Graziano (Partito Democratico): “Fare pagare le tasse a Google”

Segnaliamo, senza qui commentare, un odierno dispaccio di agenzia che riteniamo interessante:

Roma, 22 novembre 2012 (TmNews) – Google non paga le tasse in Italia e c’è chi chiede l’intervento del governo per tassare il colosso Usa. “Il mancato pagamento delle imposte da parte di Google sulle attività realizzate nel nostro Paese va chiarito e impedito”. Stefano Graziano, deputato del Partito Democratico, membro della Commissione Finanze della Camera, ha presentato oggi un question time in Commissione per chiedere al Ministro Grilli di far luce su quanto riportato dagli organi di stampa e di adottare misure normative nei riguardi di tutti quei colossi americani del commercio on-line, che, come Google, sfruttano ingegnerie finanziarie offerte dalle disparità dei sistemi fiscali europei e riescono a non pagare le tasse nel nostro Paese.
“Consentire alla multinazionale di trasferire in Paesi a fiscalità privilegiata, come l’Irlanda, i profitti in crescente aumento realizzati in Italia evitando le imposte italiane sui ricavi, che secondo alcune stime si aggirerebbero intorno a 80 milioni di euro nei soli anni 2002-2006″. Il deputato Pd ha quindi aggiunto che “è intollerabile perché va contro la politica governativa di lotta all’evasione fiscale e costituisce un mancato incasso per le finanze pubbliche, ma anche ingiusto perché mortifica i sacrifici di cittadini e imprese che stanno fronteggiando una profonda crisi, scontano un’elevata imposizione fiscale e che così subiscono uno svantaggio sleale. “A questo punto – ha concluso Graziano – mi aspetto che il Governo intervenga quanto prima sul caso, adottando una norma simile a quella prevista nel decreto crescita al Senato sulla vicenda Ryanair”.

Il “caso” YouTube Downloader: l’interpretazione di Prosperetti

Riproduciamo, con il placet dell’autore, un interessante “post” pubblicato oggi (22 novembre 2012) dall’avvocato Eugenio Prosperetti, sul suo blog “Eugenio Blogging Italia Media & Tlc Law”:
http://tmtlaw.typepad.com/eugenios_italian_telecom_/

Il “caso” YouTube Downloader.

Una discussione nata ieri, sparsa tra tweet, post, mail e forme più tradizionali di comunicazione che mi ha visto coinvolto, assieme a stimati colleghi, amici tecnologi e giornalisti di settori mi impone di fare un post per chiarire (raggruppare) come la penso io. A scanso di equivoci. La vicenda e’ questa, ben raccontata da Riccardo Luna:

La App made in Sicily più scaricata del mondo non c’è più

Premetto che non conosco la App in questione direttamente e che ho appreso la notizia dai tweet e post ad essa relativi. Aggiungo anche che il caso mi interessa come “caso scientifico” e non professionalmente. Ciò detto, questo è ciò che ne penso:
1) forse la app in questione può aver fatto violazioni di sorta di marchi o altro, ma non è per questo che stiamo parlando di questo caso. Ipotizziamo un’applicazione identica con un altro nome e ragioniamo su quella;
2) il caso è interessante perché sembrerebbe riguardare una app molto scaricata che viene espunta da un market digitale per “incompatibilità” con dei terms and conditions di un partner commerciale del provider di questo market (almeno così pare). Se così fosse, non rileva nemmeno che la app violi effettivamente i terms di YT ma solo se lo store li utilizza come parametro di “accoglienza” delle applicazioni indipendenti. Il quesito (scientifico) è, lo può fare? Chi altro lo fa? Lo dichiara nelle proprie condizioni? Gli store digitali hanno limiti alla propria discrezionalità nell’accogliere apps di terzi insomma? Se poi si scoprisse che basta cambiar nome per riaverla sul market il caso si sgonfia ma e’ veramente cosi’?
3) La discussione, da questo, si è spostata (e continua a spostarsi) su ciò che fa l’applicazione in questione. Ci sono dei profili tecnici che bisognerebbe analizzare (carte alla mano e in più di 140 caratteri). Tuttavia, limitatamente a quel che consente un post a carattere scientifico, mi limito a dire che YT è un mondo di contenuti non uniformi tra loro: non si può dire che siano tutti tutelati e tutelabili dal diritto d’autore (c’è di tutto, anche video che non possono essere definiti “opere dell’ingegno”, materiale in pubblico dominio, materiale il cui titolare non può essere rintracciato, ecc.). Ciò detto, come possiamo essere certi che YT ha il diritto assoluto di vietare a chiunque (anche a utenti non registrati) di fare qualsiasi operazione con qualsiasi contenuto da esso ospitato? E’ delegato dal titolare dei diritti a far questo? Dove non c’è titolare dei diritti come funziona?  La mia impressione è che ci sono casi diversi da valutare specificamente. Mi pare si dia troppo spesso per scontato che i contenuti di YT sono tutti “protetti” e di proprietà certa.
4) Quel che mi sembra e’ che la questione (contrattuale, non di “illegalità”) sia tra YT e il developer, se ci sono stati specifici accordi e tra YT e gli utenti, per quel che riguarda l’uso che ne e’ stato fatto (legittimo/illegittimo). Per questo ho ritenuto di spostare l’attenzione sul piano dei contratti. Non ho detto altro che dobbiamo prestare attenzione agli aspetti contrattuali e farlo caso per caso, senza generalizzare parlando di illegalita’ per violazione di Terms of Service (con una pericolosa equiparazione tra ToS e legge).
Ci sarà comunque ancora molto da discutere. Temi simili vanno avanti dall’invenzione del videoregistratore con il celebre caso “Betamax”.
Aggiornamento: su questo tema mi hanno chiesto di scrivere un articolo per Che Futuro.
Eccolo.
Roma, 22 novembre 2012.

L’alleanza degli editori europei di giornali contro “Big G”

A distanza di qualche settimana dalla notizia della proposta di legge, attualmente all’esame del Parlamento tedesco, balzata alle cronache con il nome di “Lex Google”, il dibattito sul diritto d’autore online sembra ravvivarsi anche in Italia. Finalmente.
Con “Lex Google”, si intende ormai un meccanismo normativo che introduca forme di remunerazione per gli editori di giornali le cui notizie vengono fruite in rete attraverso l’indicizzazione da parte del più famoso motore di ricerca al mondo, Google appunto.
La questione riguarda senza dubbio gli editori della stampa quotidiana e periodica, ma è sintomatica dell’esigenza, ormai urgente, di una complessiva “normazione” evoluta e dinamica di quel che avviene nel “fantastico mondo” di internet.
Il 24 ottobre scorso, gli editori italiani riuniti nella Fieg (Federazione Italiani Editori di Giornali), gli editori francesi della Ipg (Association de la Presse), quelli tedeschi del Bdzv (Bundesverband Deutcher Zeitungsverleger) e della Vdz (Verband Deutcher Zeitschriftenverleger), hanno deciso di unirsi per fare “fronte comune”, in difesa del copyright dei propri contenuti editoriali online.
Gli editori di tre tra i maggiori Paesi dell’Unione Europea richiedono l’inserimento, nel quadro normativo dei Paesi di riferimento (ma il fenomeno ha caratteristiche che riteniamo veramente “universali”), di una disciplina che definisca un sistema di diritti di proprietà intellettuale, che possa dare vita a forme di cooperazione virtuosa tra titolari dei diritti di contenuti editoriali e giganti della rete.
Se da una parte, infatti, il calo di vendite di copie cartacee di giornali viene parzialmente “compensato” dalla fruizione delle notizie online (cresciuta fortemente nell’ultimo biennio), si lamenta, in tutti e tre i Paesi promotori di questa iniziativa, una situazione di complessiva difficoltà per l’industria editoriale dei giornali.
Le imprese editoriali accusano infatti, oltre alla generale crisi economica (che determina una diffusa riduzione dei consumi), un indebito sfruttamento dei propri contenuti da parte degli operatori della rete (Google in primis), che continuano ad aumentare il proprio fatturato grazie alla pubblicità.
È interessante riportare alcuni dati relativi all’Italia, la Francia, la Germania, forniti in occasione della presa di posizione congiunta delle associazioni degli editori dei tre Paesi, elaborata durante una riunione tenutasi a Roma il 24 ottobre 2012:
- in Italia, ogni giorno oltre 24 milioni di persone leggono in media un quotidiano. Tra il 2009 e il 2011, il numero di utenti di siti web di giornali, nel giorno medio, è salito da 4 a 6 milioni di utenti, con un incremento del 50 %. Rispetto all’utenza complessiva di internet, i lettori di giornali online rappresentano una quota pari al 47 %;
- in Francia, il 97 % dei francesi legge ogni giorno almeno un giornale (quotidiano o periodico); 25 milioni di francesi, ogni mese, consultano almeno un sito d’informazione; sono ben 8 milioni gli utenti mobili al mese e 1,4 milioni le persone che ogni trimestre accedono ai contenuti editoriali per il tramite dei loro tablet. Anche i giovani ne sono attratti: il 70 % di coloro i quali hanno un’età compresa tra i 25 e i 35 anni leggono i giornali su internet;
- in Germania, 47 milioni di persone di età superiore ai 14 anni leggono ogni giorno un quotidiano su carta (67 % del totale della popolazione) e i siti internet dei quotidiani tedeschi sono visitati ogni mese da 27,7 milioni di utenti unici (40 % della popolazione). Il 92 % della popolazione tedesca di età superiore ai 14 anni – pari ad oltre 65 milioni di lettori – legge periodici. I siti internet e le altre applicazioni degli editori tedeschi contano 13,8 milioni di utenti, corrispondenti al 72 % del traffico complessivo della Rete. Infine, per quel che riguarda i tablet, il 66 % di chi fa uso di iPad ha sottoscritto un abbonamento ad un giornale. Il mercato digitale oggi rappresenta il 10 % del fatturato degli editori tedeschi.
Si ricorda che il problema dell’indicizzazione degli articoli da parte del motore di ricerca ha recentemente determinato la fuoriuscita degli editori di giornali brasiliani – rappresentati dall’Associação Nacional De Jornais (Anj) – da Google News. “Google News beneficia commercialmente di contenuti di qualità e si oppone a qualsiasi forma di remunerazione. Stare con Google News non ci aiuta a crescere nel traffico digitale. Rimanere su Google non ci aumentava la visibilità online ma, al contrario, mostrare le prime righe dei nostri articoli riduceva la probabilità che i lettori andassero a leggere l’articolo completo”, ha sostenuto il Presidente dell’Anj, Carlos Fernando Lindenberg Neto. Hanno abbandonato Google News ben 154 editori, rappresentativi del 90 % dell’intera diffusione della stampa quotidiana e periodica in Brasile.
Google si difende dall’accusa, con la solita stranota tesi: che la presenza sul motore di ricerca Google News incrementa la diffusione delle notizie in rete, e quindi stimola il potenziale lettore ad acquistare i giornali, in edizione cartacea o meglio digitale.
Il fenomeno – nelle sue contrapposte interpretazioni – ha caratteristiche planetarie.
Esattamente come avvenuto per l’industria musicale, si registra però un diffuso e continuo, anno dopo anno, decremento del totale dei ricavi dell’industria dei giornali: una parte crescente dei ricavi deriva ormai dall’acquisto via internet, ma questo incremento non compensa il decremento di ricavi del business “materiale” (fisico). In sostanza, si assiste ad un trasferimento di ricchezza: dagli editori agli aggregatori. Con un piccolo dettaglio: gli editori investono in contenuti di qualità, gli aggregatori no. In economia, questo fenomeno si definisce “rendita parassitaria”.
In altri termini, internet sta determinando un processo continuo di depauperamento di queste industrie culturali, riducendo le chance di produrre contenuti di qualità. Sarà anche vero che internet moltiplica le chance di accesso universale a questi contenuti (con gran beneficio per la democrazia), ma impoverisce gli editori, i produttori di contenuto: ciò vale per gli editori dei quotidiani e periodici, così come per i broadcaster televisivi.
In sintesi: le notizie (su internet) piacciono, ma non pagano (chi le produce). Altresì dicasi per altri contenuti di qualità, dalla musica all’audiovisivo.
Secondo alcuni, gli editori di Francia, Germania ed Italia puntano ad emulare quel che avviene nel Regno Unito, ove la Newspaper Licensing Agency ha iniziato a chiedere soldi agli aggregatori di notizie, per la consultazione degli estratti online degli articoli a pagamento dei quotidiani. La differenza però è che in Germania ed anche in Francia si sta pensando di farsi pagare una commissione non solo sui servizi che gli editori offrono in abbonamento, ma anche per quelli gratuiti rilevati da Google.
L’iniziativa degli editori francesi e tedeschi è sostenuta dai rispettivi Governi: la Merkel ha fatto propria la battaglia degli editori, perché la ritiene giusta, per preservare l’occupazione ed una ricchezza materiale ed immateriale del Paese; anche la Ministro francese all’Innovazione e all’Economia digitale, Fleur Pellerin, che ha dichiarato che questa “guerra contro gli aggregatori” va combattuta tutti insieme in sede europea.
Per quanto riguarda l’Italia, non si registra alcuna presa di posizione da parte dell’Esecutivo Monti. Che, notoriamente, in materia di politiche culturali ed economie mediali, assume da mesi atteggiamenti alla Ponzio Pilato.
Si ricordi che a metà gennaio 2011 l’Autorità Antitrust italiana concluse l’indagine avviata nel 2009 contro Google per abuso di posizione dominante. Google assunse una serie di impegni, che avrebbero dovuto evitare rischi di distorsioni concorrenziali derivanti da una posizione passiva dell’editore a fronte dell’attività d’indicizzazione e dalla mancanza di trasparenza nella contrattazione con Google. Dichiarò in quell’occasione l’allora Presidente della Fieg Carlo Malinconico: “Gli impegni assunti da Google modificano a livello mondiale alcune politiche editoriali e commerciali collegate ai servizi Google News e AdSense, in una ottica di maggiore trasparenza e collaborazione. Si tratta di una prima risposta, cui deve seguire, come osserva la stessa Autorità, l’intervento del legislatore, per regolare la remunerazione dell’attività delle imprese che producono contenuti editoriali online, a fronte dello sfruttamento economico delle proprie opere da parte di altri soggetti. Occorre dunque una legge nazionale per superare l’oggettivo squilibrio, rilevato dall’Autorità, tra il valore che la produzione di contenuti editoriali genera per il sistema di internet nel suo complesso e i ricavi che gli editori online sono in grado di percepire dallo sfruttamento stesso”.  Aggiungeva il Presidente della Fieg: “Nel contempo, la Fieg guarda con estremo interesse alle iniziative che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni potrà assumere a tutela del diritto d’autore”. Fatto è che, a distanza di quasi due anni, nessun segno di intervento è venuto dall’Agcom. Ad inizio ottobre 2012, in occasione di un convegno promosso da Confindustria Culturale, il Sottosegretario Peluffo ha sostenuto: “Rinnovo l’invito alla nuova Agcom, che già avevo rivolto al precedente Consiglio, di approvare rapidamente il regolamento contro la pirateria”. Dall’Agcom, per ora, tutto tace. Anche se a distanza di qualche giorno il Commissario Preto ha dichiarato: “In questo nuovo scenario, riveste dunque sempre maggiore importanza il diritto d’autore su internet. La tutela della proprietà intellettuale sul web non può essere un tabù, ma deve essere un volano per l’innovazione, per lo sviluppo dei contenuti legali e per l’economia del settore. Non vogliamo mettere il bavaglio al popolo della rete, ma garantire il rispetto dei diritti e delle regole. La rete non è terra di nessuno. (…) In questa direzione, l’enforcement dell’Agcom deve essere ispirato ai principi di proporzionalità, efficacia e celerità”. Bene. Si attende fiduciosi.
Nei giorni successivi alla levata di scudi, il Presidente francese Hollande ha incontrato il Ceo di Google, Schmidt, lasciando comprendere che entro l’anno si dovrà trovare una soluzione, e che, se Google non inizierà una trattativa con gli editori, interverrà il governo. Non tutti però si trovano d’accordo. I siti web di informazione che non dipendono da giornali e periodici o grandi gruppi editoriali si sono costituiti nella Spiil (Associazione della Stampa Online), e non condividono l’introduzione di una tassa, ritenuta una scelta errata e poco lungimirante sul lungo periodo, perché rischierebbe di portare alla riduzione del pluralismo informativo. Piuttosto,la Spiilritiene che Google dovrebbe pagare pienamente le imposte sugli utili, che, come molti ben sanno (e come abbiamo segnalato anche su questo blog), “Big G” evita, operando dall’Irlanda.
Dal canto suo, a minaccia, Google risponde con altra minaccia, ovvero quella di smettere di indicizzare gli articoli dei media francesi (in altri termini: “cancelleremo i link ai siti dei giornali”), proprio come è successo recentemente in Brasile.
Il Governo francese sembra però molto agguerrito: soprattutto il Ministro alla Cultura, Aurélie Filippetti, che gestisce il dossier, non sembra disposta a cedere. Il braccio di ferro è soltanto iniziato. Google risponde che non può accettare una misura del genere, che “mette in dubbio la sua stessa esistenza”.
Ci auguriamo che, al di là della onnipresente retorica dell’“internet magico”, finalmente si possa, in modo semplice quanto concreto, tornare a comprendere che le notizie sui giornali sono frutto del lavoro di qualcuno e, in quanto tali, prodotti che vanno pagati da chi li consuma. Come un romanzo. Come la musica registrata. Come un film. Come una fiction tv. Eccetera. Il “mito della manna” internettiana va sfatato. È urgente definire un sistema moderno dei diritti di proprietà intellettuale.
Non esistono ancora dati incontroverbili (anche per la perdurante assenza di trasparenza dell’economia di Google), ma secondo alcuni analisti, nel 2012 Google supererà Rai nella raccolta pubblicitaria. A fine settembre, in un convegno, Antonio Pilati (consigliere di amministrazione Rai, già consigliere dell’Agcom e dell’Agcm) ha sostenuto che “Google è ormai il secondo operatore di pubblicità in Italia. Ha superato la Rai ed è alle spalle solo di Publitalia”.
Si ricordi anche che, nello scorso luglio, Fabio Vaccarono ha lasciato Manzoni Advertising, concessionaria di pubblicità de L’Espresso-Repubblica, per diventare Country Manager di Google Italia: un’ulteriore conferma della vocazione alla crescita del gigante dei motori di ricerca nel business dell’advertising italiano.
Vedremo quali saranno gli esiti di questa vicenda, delicata e strategica, e certamente torneremo presto a scriverne su queste colonne.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 2 novembre 2012

Google accusata (anche in Usa) di abuso di posizione dominante nel business del “search”

È evidente che il colosso di Mountain Views è ormai nell’occhio del mirino, e quella che è stata finora una sua politica (istituzionali e commerciale) “low profile” sembra non funzionare più, perché le sue attività vengono ormai prese di mira da una pluralità di punti di vista: dal pluralismo comunicativo alla concentrazione economica (e tralasciamo le vicende sulle agevolazioni fiscali della sua “residenza” europea in Irlanda). Anche in patria, non vive esattamente una stagione cheta: la Federal Trade Commission americana sembra voler mettere alle strette Google. L’accusa è quella di “abuso di posizione dominante” nel mercato dei motori di ricerca (e dell’advertising), aggravata dall’ipotesi di sfruttamento illegale del proprio know-how per danneggiare i “competitor”.

Dopo 16 mesi di “osservazione”, ovvero di investigazione nel business della ricerca e dell’advertising di “Big G”, il lavoro della Federal Trade Commission si avvia alla conclusione: il verdetto, ormai prossimo, potrebbe arrivare tra novembre e dicembre.

Sulla base di dichiarazioni rilasciate alla Reuters, quattro dei cinque Commissari dell’Antitrust americano sarebbero concordi nel giudicare Google “colpevole”; uno soltanto continua a dichiararsi scettico in argomento.

Chiare smentite da parte di Eric Shmidt, Chairman di Google, che rifiuta l’accusa di manipolazione di dati per favorire i propri prodotti.

La Federal Trade Commission, in particolare, sta valutando il modo in cui il Gigante ha agito nel settore dei viaggi online, dove sembra assodato che il gruppo abbia danneggiato competitor come Nextag e Yalp, posizionandoli in un ranking di ricerca di qualità molto bassa.

Una volta che la Ftc avrà preso la sua posizione, “Big G” dovrà trovare una “soluzione” per non incappare in sanzioni pesanti  e trovarsi costretto a modificare il proprio “business model”. Più precisamente, nel caso l’Antitrust statunitense confermasse le proprie accuse, il gigante di Mountain View avrebbe soltanto 2 opzioni: cercare di trovare un accordo, come ha fatto con la Commissione Europea, o prepararsi ad una lunga battaglia legale. Entrambe peraltro, discretamente onerose.

Si ricorda che un’indagine simile è stata condotta anche dall’Antitrust europeo nel 2010.

Sul fronte europeo, l’attenzione sembra essere attualmente concentrata sui deficit che Google mostra in materia di “privacy”: secondo i Garanti dell’Unione Europea, le nuove regole sulla privacy decise da Google non sarebbero adeguate a tutelare gli utenti europei. Le procedure di Google sembrerebbero non essere conformi alla Direttiva sulla protezione dei dati personali le nuove regole del marzo 2012. La nuova “privacy policy”, adottata unilateralmente da Google, consente al gruppo di incrociare in via generalizzata i dati degli utenti che utilizzano qualsiasi servizio (da Gmail a YouTube a Google Maps).  Questa attività di “combinazione” dei dati determina rischi seri per la privacy degli utenti europei. Torneremo anche su questa delicata tematica.

 ( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E.) 17 ottobre 2012

 

La “survey” sperimentale di Aliprandi

Alcuni giorni fa sono stati pubblicati i risultati emersi dalla “survey” che l’avvocato Simone Aliprandi ha condotto nel 2011 per la sua tesi di dottorato, dal titolo “Il diritto d’autore nell’era digitale: comportamenti, percezione sociale e livello di consapevolezza”. La metodologia utilizzata è stata quella del questionario online (aperto per 120 giorni, dal 1° febbraio al 1° giugno e disponibile sia in italiano che in inglese) con metodo “Cawi” (Computer Assisted Web Interviewing). Nell’ambito del suo studio, suddiviso in due sezioni, una dedicata all’Italia de una al resto del mondo, Aliprandi ha intervistato circa 1.800 soggetti (1.300 per l’Italia e 500 per  il resto del mondo). L’intento del promotore, come egli stesso dichiara, è stato l’avvio di un’analisi preliminare e sperimentale su come il tema del diritto d’autore nell’era digitale possa essere studiato e approfondito con strumenti più tipicamente sociologici e non strettamente giuridici o economici. Una sorta di “progetto pilota”.
Il questionario ha messo a fuoco 3 importanti macro-aree di indagine:
-       I comportamenti più comuni tra gli utenti della rete;
-       La percezione degli utenti del web rispetto al problema “diritto d’autore”;
-       Il livello di consapevolezza ed informazione degli internauti sui meccanismi e principi alla base del diritto d’autore.
Si segnala che Aliprandi ha deciso di mettere a disposizione il suo studio in modalità “open” con licenze Creative Commons.
In questa sede, abbiamo deciso di concentrarci sulla sezione italiana dello studio, i cui risultati offrono interessanti spunti di riflessione. Si segnala che i “rispondenti” per l’Italia si collocano, per quasi l’80 % nella fascia 18-44 anni, con un livello di scolarizzazione medio-alto.
Emerge il deficit di percezione che ancora permane nel nostro Paese circa la difesa del copyright. Chi scarica illegalmente, non percepisce un senso di colpa per il tipo di azione illegale che commette; il downloading illegale di programmi, contenuti, opere musicali non viene equiparato al furto degli stessi prodotti su supporto fisico e, soprattutto, benché molti riconoscano la pratica dello “scaricamento”come illegale, la maggior parte di loro la considera comunque “socialmente accettata / accettabile”. Il problema probabilmente risiede proprio in questo tipo di percezione, anche alla luce dell’osservazione che la maggior parte di coloro che hanno compilato il questionario non comprende che scaricare illegalmente contenuti creativi danneggi l’industria nel suo complesso, ma credono arrechi danni soltanto le società che producono e vendono queste opere.

Per un approfondimento http://copyrightsurvey.blogspot.it/

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E.) 16 ottobre 2012

Google/Youtube – due nuove decisioni in Francia

Sulla fine del mese di settembre, la Court de Cassation, organo supremo della giurisdizione Francese ha reso due importanti sentenze in tema di protezione del Diritto d’Autore Online.
Dette sentenze hanno riguardato due separati aspetti della continua lotta all’illegittima pubblicazione di opere dell’ingegno in rete.
- In un primo caso, la Cassazione Francese ha stabilito che, quando per un contenuto illegittimamente pubblicato sia già stata effettuata una segnalazione (ed una conseguente procedura di rimozione), l’host provider (e dunque a Google/Youtube) non può essere ritenuto responsabile se il contenuto in questione viene nuovamente caricato illegittimamente sui suoi server, ma spetta al titolare dei diritti l’onere di segnalare nuovamente la presenza del contenuto di cui chiede la rimozione; in questo, la Corte ha ribaltato quanto era stato statuito dalla Corte d’Appello, che aveva ritenuto sufficiente una sola segnalazione per contenuto, ma così facendo indirettamente chiamava in causa un obbligo di sorveglianza per Google, a che uno specifico video rimosso non venisse più caricato su Youtube.
- Nel secondo caso, Google è stata invece ritenuta responsabile per non aver rimosso dalla propria lista di parole automaticamente “suggerite” in fase di ricerca (la c.d. funzione di auto-completamento) termini che facilitano la ricerca di materiale piratato (es. torrent,megaupload, rapidshare, e simili); ribaltando le conclusioni dei giudicanti di prima e seconda istanza, la suprema Corte Francese ha stabilito che “il servizio di comunicazioni elettroniche accessibile al pubblico offerto da Google sistematicamente spinge gli utenti di internet, tramite specifiche parole chiave suggerite, verso siti internet che contengono registrazioni rese disponibili al pubblico senza l’autorizzazione dei rispettivi artisti/autori/esecutori o delle loro etichette discografiche, facilitando l’infrazione del diritto d’autore”.

La prima della due sentenze della Court de Cassation si allinea alle più recenti osservate a livello europeo, confermando che, anche secondo l’interpretazione Francese, l’host provider è mere conduit, e non sembra essere destinatario di un obbligo di vigilare su ciò che i suoi utenti pubblicano online, ma deve operarne una pronta rimozione, una volta a ciò richiesto dai titolari dei diritti.
Per ciò che riguarda la seconda sentenza, il punto più evidente è che, a dispetto degli annunci di qualche mese fa, Google non sembra ancora avere ripulito la propria funzione di autocompletamento da termini che incoraggiano e/o facilitano la ricerca di materiale pirata.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G. ) 9 ottobre 2012